Robot e infortuni sul lavoro: IIT e INAIL uniti nel Rehab Technologies Lab

C’era una volta un Paese in cui si potevano contare quasi 500 mila denunce di infortunio in 10 mesi ( 489.526 da gennaio a ottobre del 2023 – dati INAIL). Al netto di alti e bassi, tutto ciò in questo Paese continua ad accadere tuttora
26 Aprile 2024 |
Marta A.

C’è un laboratorio che coniuga la robotica e le neuroscienze, per realizzare soluzioni tecnologiche partendo dalle necessità  delle persone che le utilizzeranno e direttamente testate su di loro. Si chiama Rehab Technologies Lab e nel 2023 ha compiuto 10 anni. Sia l’INAIL che l’Istituto italiano di tecnologia (IIT) che lo hanno fondato con un accordo ufficiale, lo hanno festeggiato annunciando un costante aumento del suo livello tecnologico ad alto impatto sociale.

Un laboratorio partecipato e in ascolto

Fin dalla sua nascita, questo laboratorio congiunto si è  focalizzato sullo sviluppo e sulla realizzazione di nuovi dispositivi protesici, ortesici e riabilitativi a elevato contenuto tecnologico. Lo ha fatto con la complicità  di medici, terapisti, designer e pazienti che, coinvolti già  durante i lavori, possono contribuire in modo realmente attivo e costruttivo nelle varie fasi di progettazione, realizzazione e sperimentazione dei dispositivi sviluppati. Un modo per garantire maggiore efficacia e un contatto con la realtà  che, per chi fa ricerca, è fondamentale.

Questo modus operandi ben connesso con il mondo sia della medicina che del lavoro, ha permesso di sfornare dispositivi in cui l’innovazione è stata integrata in modo strettamente funzionale. Ciò significa che ogni tecnologia inserita ha lo scopo di rendere le protesi e gli esoscheletri più comodi ed efficaci ma, allo stesso tempo, più accessibili. Ogni dispositivo progettato e realizzato ha le potenzialità  per apportare un miglioramento concreto della qualità  di vita dell’utente, alzando il livello di performance di protesi e altri simili elementi fino a poco tempo fa accolti da molti con scarso entusiasmo e minima fiducia.

Come dare semplicemente una mano: Hannes 

Una prima dimostrazione pratica dell’approccio di Rehab Technologies Lab ha la forma di una mano. Si chiama Hannes ed è una protesi robotica poliarticolata studiata e realizzata per restituire alle persone che hanno subito l’amputazione dell’arto superiore la maggior parte delle funzionalità  perdute.

L’idea di occuparsi della mano nasce dopo aver notato che le protesi disponibili sul mercato risultavano molto spesso estremamente complesse. Per permettere a tutte le dita di poter essere mosse singolarmente in modo autonomo, infatti, le hanno munite di un motore per ciascuno, regalando un gran numero di gradi di libertà poi emersi essere di difficile e macchinosa gestione. L’utente deve infatti ogni volta impugnare lo smartphone e selezionare il tipo di presa di cui ha bisogno: un iter che, quando proiettato nel quotidiano, risulta ben poco pratico se non decisamente snervante. Il rischio – e la tentazione – diventa infatti poi quello di lasciare la protesi inutilizzata, compiendo ogni gesto necessario con l’altra mano.

Per evitare che tutto questo avvenga, a discapito dell’utente in primis, serve una protesi che offra un utilizzo naturale e diretto, semplice e funzionale. É proprio questa la mission che si è dato Rehab Technologies Lab quando ha deciso di lavorare a Hannes. Mantenendo il 95% delle funzionalità  di altri prodotti analoghi presenti sul mercato, ha sviluppato un dispositivo con un sistema sottoattuato munito di un solo motore e di due sensori, ma basato su un principio di funzionamento totalmente diverso e intelligente.

Nonostante l’apparente semplicità della tecnologia inserita, Hannes si mostra così­ in grado di adattarsi spontaneamente all’oggetto che sta andando ad afferrare, indipendentemente dalle sue caratteristiche intrinseche e senza richiedere alcuna sofisticata procedura. Uno dei punti di forza di questo progetto è costituito dalla scelta di puntare sul controllo mioelettrico. Nel realizzare la protesi sono infatti stati inseriti dei sensori elettromiografici (EMG) che, una volta impiantati in posizione ben precisa rispetto ai muscoli recisi del braccio amputato, sono in grado di intercettare e sfruttare gli impulsi elettrici provenienti dalla contrazione dei muscoli della parte residua dell’arto. Scossette che, elaborate da algoritmi basati sull’intelligenza artificiale e machine learning, diventano dei comandi di movimento pronti a essere puliti, filtrati e trasmessi al motore presente sulla mano protesica. Un motore solo, non uno per ogni dito, nel caso di Hannes, ma che riesce a coordinare il loro movimento permettendo alla mano di aprirsi e chiudersi. Questo ultimo passaggio avviene grazie a un ingegnoso motoriduttore collegato al motore stesso, incaricato di comandare attraverso una puleggia tutti i cavi inseriti in tutte le dita.

Il risultato è che si può muovere ogni dito in modo preciso e articolato, dando la possibilità  all’utente di tornare a poter contare su una presa molto naturale e vigorosa – fino a 5 volte di più di quella in media consentita da altre protesi. Questa œacrobazia tecnologica assicura sia delle buone performance, sia una facilità  d’uso e di integrazione molto preziose: si possono compiere movimenti naturali, senza la necessità  di alcun trattamento chirurgico invasivo.

Un aspetto spesso messo in secondo piano, ma estremamente importante per supportare le persone nel superamento del disagio psicologico legato al proprio deficit fisico, è anche quello che riguarda l’estetica. Grazie al processo di ideazione partecipato e collaborativo, Rehab Technologies Lab non l’ha ignorato, anzi, ci ha investito competenze ed energie, conquistando il premio per il design innovativo Il Compasso D’Oro nel 2020, in occasione della XXVI edizione di questo premio mirato a valorizzare la qualità  della creatività  italiana. Un riconoscimento ottenuto grazie alla collaborazione con DDP Studio e che non impatta sul prezzo di Hannes. In linea con la mission del laboratorio cofondato da IIT e INAIL, resterà  accessibile e competitivo: circa il 30% in meno di quello dei prodotti attualmente presenti sul mercato.

Un esoscheletro per riabilitazione personalizzabile e coinvolgente: Float

Dalla sola mano si passa a un intero braccio, con un’altra delle recenti creazioni del laboratorio di robotica per gli infortuni sul lavoro. FLOAT è  infatti un esoscheletro riabilitativo per arti superiori, realizzato per favorirne il recupero motorio e funzionale. Si rivolge a tutti coloro che nella fase post-chirurgica devono sistemare le articolazioni della spalla, oppure a chi si ritrova con una frattura dell’omero o una lesione della cuffia del rotatore, a seguito di lesioni post-traumatiche da incidenti. In futuro, potrebbe essere applicato in caso di disfunzioni motorie dovute ad ictus o a malattie neurodegenerative: oggi questa resta però un’opzione ancora da esplorare. Per il momento il team del laboratorio si è focalizzato sul riuscire a mantenere i vantaggi dei dispositivi automatizzati di ultima generazione (l’alta intensità  degli esercizi proposti, la precisione nell’acquisizione dei parametri fisici e la registrazione dei miglioramenti) passando a un approccio totalmente nuovo di riabilitazione basata su un volume di lavoro, più rispettoso e aderente alla realtà  in cui l’utente si trova immerso, nella sua quotidianità. Un paradigma diverso che regala un dispositivo finalmente in grado di collaborare con il paziente e il fisioterapista in tutte le varie fasi del recupero, dai primi prudenti interventi riabilitativi post-acuzie fino agli ultimi step del recupero funzionale.

FLOAT si presenta come un esoscheletro scomponibile concettualmente in tre parti. Inizia con una colonna telescopica a cui è agganciato un braccio robotico poli-articolato che, a sua volta, sostiene un’altra parte robotica del dispositivo. Lavorano tutte e tre in piena sinergia, ma il vero punto chiave è il braccio. Questo elemento è stato infatti appositamente studiato per consentire movimenti che coinvolgono tutto il corpo, includendo gli arti inferiori e la muscolatura del tronco. La libertà  di movimento che ne deriva, allarga la gamma di esercizi riabilitativi nelle possibilità  dell’utente e lo rende in grado di compiere anche i basilari gesti quotidiani. Abbassare una maniglia, allacciarsi le scarpe, afferrare un bicchiere: tutte azioni che danno immediata soddisfazione, alzano il morale e sono utili. Quindi invogliano a continuare a usare l’esoscheletro, minimizzando i tempi di recupero. Si innesca proprio quel ciclo virtuoso di efficacia e motivazione che serve per massimizzare le possibilità di ottenere risultati soddisfacenti.

Un ruolo importante è anche quello svolto dal sistema di sospensioni presente nel braccio per sostenere il 100% del peso del robot. Chi lo indossa non ne sente l’ingombro, infatti, e se lo può far calzare addosso senza fatica grazie al corsetto ergonomico che permette una rapida vestizione, senza correre il rischio di posizionare erroneamente i giunti rispetto alle articolazioni da riabilitare.

Non si tratta solo di una questione di comfort: la scelta è un’importante presa di posizione rispetto a quella che è definita medicina di genere. La necessità  di passare da dispositivi ideati per uomini adulti con fisico medio a dispositivi in grado di garantire il medesimo comfort e analoghi benefici anche alle donne e a tutti coloro che, al di là del sesso di appartenenza, non hanno un fisico da uomo standard.

Oltre al corsetto per la vestizione, anche la strategia riabilitativa può essere tarata sul singolo paziente, fin da quelle prime fasi di mobilizzazione passiva con soli esercizi elementari di abdo-adduzione, flesso-estensione orizzontale, intra-extrarotazione. Il terapista può scegliere ampiezza e velocità  del movimento, nonché numero di ripetizioni, sempre a seconda del soggetto e del contesto, valutando volta per volta quando è più opportuno affrontare traiettorie più complesse e combinate. Quando i progressi appaiono evidenti e solidi, inizia la parte attiva della terapia. Quella in cui l’esoscheletro ha il compito di supportare il movimento dell’utente, quasi rassicurandolo mentre inizia a compiere semplici azioni quotidiane. É in questa fase che l’ampiezza dei movimenti permessa dal braccio di FLOAT diventa un vero fattore differenziante, che impatta sia sui tempi e sulla qualità del recupero.

L’esoscheletro per tornare a camminare grazie ai dati: Twin

Sempre di esoscheletro si tratta, ma Twin si applica agli arti inferiori e ne favorisce la deambulazione. Gli utenti tipo sono coloro che hanno subito una lesione midollare e in questo dispositivo trovano un alleato facile da usare, oltre che da indossare, e di massima fruibilità. Non si parla di eliminare la sedia a rotelle, nel caso fosse prevista, ma di affiancare l’uso di questo strumento tradizionale con un altro più stimolante e che, ove possibile, permette di alzarsi in posizione eretta per qualche ora al giorno. Seppur breve, il tempo trascorso in una postura differente è una conquista fondamentale per l’utente che può infatti riscontrare una diminuzione dell’intensità  degli effetti collaterali tipici dell’immobilità prolungata. I più frequenti riscontrati sono la perdita di massa minerale e di densità ossea, la funzionalità  dell’apparato digerente e alcune patologie cardiovascolari, ma di caso in caso ne possono insorgere altri.

Quando applicato su persone che stanno compiendo un percorso riabilitativo, per esempio a seguito di un ictus, Twin le accompagna. Non solo le supporta dal punto di vista fisico, ma ne valuta i progressi di movimento in modo oggettivo e costante, attraverso diversi parametri sia cinematici che dinamici. Tutto avviene grazie a dei sensori posti sull’esoscheletro che catturano dati preziosi per programmare al meglio il percorso terapeutico. È un altro esempio di dispositivo collaborativo nei confronti dello specialista, che lo supporta e ne facilita e velocizza le decisioni, senza alcun intento di sostituirlo.

Questo paradigma è alla base di ogni progetto di Rehab Technologies Lab, anche Smart Ankle Gallery e Hybrid Knee. Il primo è una protesi per caviglia robotica studiata per ottimizzare la naturalezza della camminata. Risultato raggiunto grazie a un meccanismo motorizzato e alla sensoristica integrata che permette alla protesi di individuare autonomamente la fase del movimento in corso, adattando l’effetto degli ammortizzatori durante il contatto col terreno.

Hybrid Knees si distingue invece per le sue performance particolarmente elevate, ma anche per il costo non proibitivo. In un certo senso democratizza la possibilità di utilizzare un dispositivo di ultima generazione, in modo che tutti possano usufruire di vantaggi come l’alzarsi dalla sedia in modo più agile, evitando pericolosi movimenti compensatori dell’anca e l’affaticamento dell’arto sano.

Un 2024 di riabilitazione collaborativa con IIT e INAIL

Questi e altri progetti nuovi per la sperimentazione di esoscheletri e per la realizzazione di nuove tecnologie mirate a migliorare la salute del lavoratore saranno le priorità di Rehab Technologies Lab anche per i prossimi anni. Una continuità  di intenti che non rischia di trasformarsi in monotonia, data l’ampiezza dei casi da affrontare e dei contesti in cui provare a portare benefici. L’idea è quella di farlo introducendo “sistemi meccatronici intelligenti leggeri e a basso consumo che assicurano dimensioni e peso contenuti ma, al tempo stesso, una lunga vita della batteria – spiega Matteo Laffranchi, Responsabile di Rehab Technologies Lab IIT – INAIL – Nel 2024 proseguiremo a lavorare anche su alcuni progetti finanziati dal PNRR che verteranno su sperimentazioni di dispositivi protesici e sviluppo di nuove tecnologie. É prevista anche la realizzazione di ambienti intelligenti presso alcuni degli ospedali partner, per il monitoraggio continuo, la riabilitazione e l’inclusione sociale di persone fragili all’interno del contesto del progetto RAISE”.

RAISE sta per Robotics and AI for Socio-economic Empowerment e, oltre a IIT, vede protagonisti anche il CNR e Università  degli Studi Genova e coinvolti molti partner sia pubblici che privati. Opera all’interno dei domini scientifici e tecnologici dell’AI e della Robotica, Rehab Technologies Lab, nello specifico, figura tra i protagonisti di molte delle attività legate al filone Smart Devices and Technologies for Personal and Remote Healthcare, dedicandosi alla progettazione e allo sviluppo di piattaforme e dispositivi intelligenti per la cura remota e personale, di ambienti intelligenti a supporto della continuità  di cura e di sistemi robotici per l’interventistica e la cura del paziente. Oltre che, come visto finora, di protesi e sistemi di supporto robotico assistivo.

Una novità interessante che conferma come questo laboratorio congiunto ritenga essenziale l’inserimento della tecnologia e dell’innovazione in contesti operativi reali, e che tale inserimento massimizzi i benefici, eliminando ogni possibile elemento che possa impattare negativamente sul paziente. Con la stessa pragmaticità, Rehab Technologies Lab guarda anche al mercato, “implementando il grado di maturità tecnologica delle macchine del laboratorio, dalla concettualizzazione sino alla loro possibile commercializzazione, per agevolarne il loro trasferimento tecnologico” aggiunge Laffranchi.

Quando il trasferimento tecnologico migliora la qualità di vita

Chi lavora nel Rehab Technologies Lab ha ben presente che l’obiettivo non è fare scoperte ma concretizzare gli sviluppi delle tecnologie in modo che migliorino la salute delle persone. Proprio il trasferimento tecnologico costituisce un passaggio chiave, anzi, una successione di passaggi chiave che vanno dal trial clinico, alla certificazione, fino all’avvio della fase di industrializzazione e l’approdo sul mercato.

Un iter che può essere interpretato in diversi modi e che IIT e INAIL, assieme, hanno scelto di implementare mettendo al centro le necessità dell’utente e coinvolgendolo nell’ideazione di ogni progetto sin dal principio. Molto si punta anche sulla qualità, ma solo su quella certificata, tenendo sempre come riferimento il certificato ISO 13485, e rispettando lo standard di qualità  specifico che viene richiesto alle aziende del settore medicale.

Un approccio che guarda verso il futuro con pragmatismo, come conferma la scelta di investire sulla proprietà intellettuale. Ciò significa dare la priorità, non alle pubblicazioni scientifiche, ma ai brevetti. Quando si pensa ai dispositivi da realizzare, lo si fa non perché possano diventare celebri ma affinché siano uno strumento per migliorare le condizioni di vita di più persone possibili.

Un esempio fresco e del tutto esplicativo di impatto sulla quotidianità delle persone che un progetto di Rehab Technologies Lab deve avere è quello legato alle paratie Anti-Covid realizzate su richiesta del Ministero dei Trasporti Italiano nel 2021. In tempi di emergenza Covid, i ricercatori del laboratorio avevano infatti lavorato a un prototipo di divisori per i treni e per i bus a bassa percorrenza, mirato a consentire la capienza al 100% dei mezzi di trasporti nel pieno rispetto del distanziamento reso necessario dalle normative anti-Covid 19.

A questo progetto concreto di trasferimento tecnologico si può affiancare lo spin off nato nel 2016 con lo stesso scopo. Si tratta della medical company Movendo Technology attiva nel settore della robotica riabilitativa attraverso lo sviluppo di dispositivi medici ad alto livello di tecnologia ma anche di estetica. E soprattutto in grado di soddisfare le esigenze degli utenti in fase di riabilitazione, affiancando i professionisti sanitari che li seguono.

Ricerca continua, in un continuum tra uomo e macchina

Lapalissiano affermare che, per assicurare un trasferimento tecnologico continuo verso la società, altrettanto continuo deve essere il lavoro di ricerca. O i lavori di ricerca, nel caso di Rehab Technologies Lab che coltiva in parallelo due filoni, quello scientifico e quello focalizzato sulle cosidette human technologies.

Nel primo studia le correlazioni neurali dei disturbi motori partendo dai dati di elettroencefalogramma ad alta densità di popolazioni neurologiche, per estrarre metriche basate sulla connettività. Allo stesso tempo sta indagando nuovi biomarcatori neuro meccanici basati su misurazioni elettrofisiologiche, cinematiche e comportamentali, per riuscire a caratterizzare la produzione motoria volontaria, per esempio in caso di ictus.

Il ramo di ricerca Human-Technology Systems riguarda invece le interazioni tra persone e tecnologie, in particolare quelle utilizzate per realizzare protesi assistive e riabilitative. Un verticale decisamente interdisciplinare che abbraccia l’ergonomia cognitiva e la neuroergonomia, ma anche i processi cognitivo-comportamentali come l’embodiment e la presenza. Il primo termine si riferisce alla sensazione che una protesi faccia parte della propria rappresentazione corporea, nonostante costituisca un oggetto esterno al corpo umano. La presenza è invece la sensazione di condividere lo stesso spazio e il tempo con un altro oggetto o attraverso un mezzo.

Analizzando questi e altri aspetti, i ricercatori vogliono sviluppare nuove soluzioni di biofeedback per lo sviluppo di nuovi paradigmi di integrazione uomo-tecnologia. Un esempio già  pronto è il training di biofeedback respiratorio spazialmente aumentato per migliorare l’incarnazione degli arti artificiali. Un altro esempio allo studio è un biofeedback in contesti virtuali che aiuti le persone ad addormentarsi, ideato in collaborazione con SRI International. E poi c’è EyeBCI, progetto dedicato al movimento dello sguardo. Tracciandolo e sfruttando interfacce cervello-computer si vuole trovare un modo per valutare lo stress e il carico di lavoro e formazione di attenzione/rilassamento, mantenendo sempre alta l’attenzione sull’accessibilità e sull’ergonomia. Come in tutti i progetti di Rehab Technologies Lab, l’inclusione deve essere garantita.

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