La bicicletta ti cambia la vita

Paola Gianotti è una donna che ha infranto diversi record del mondo in sella alla sua bici, senza però mai dimenticare le difficoltà che i ciclisti si trovano ad affrontare tutti giorni. In questa intervista ci racconta la sua passione e il suo impegno affinché l’Italia diventi un paese ciclabile e sicuro
4 Aprile 2024 |
Giulia Galliano Sacchetto

Tenacia, determinazione e carattere. C’è tutto questo in Paola Gianotti, che ha saputo reagire al fallimento della sua precedente attività reinventadosi ciclista, ed è attualmente detentrice di quattro Guiness World Record, speaker motivazionale, coach, autrice e attivista solidale e ambientale. La bicicletta è diventata la sua inseparabile compagna di vita: anche per questo Paola, con il progetto Io rispetto il Ciclista, si batte affinché le infrastrutture ciclabili in Italia vengano migliorate. Ma soprattutto diffonde, anche nelle istituzioni, la cultura della bicicletta, qualcosa che in molti paesi del mondo è ben presente, ma in Italia lo è molto meno. E questo comporta enormi problemi di sicurezza, frenando la diffusione di quello che, secondo Paola, è il mezzo più “sostenibile al mondo”.

Lei ha iniziato questo percorso dopo che l’azienda in cui lavorava ha chiuso… che ricordi ha di quel momento?

Ripensandoci oggi in maniera razionale posso dire che è stato il momento più importante e foriero di successo della mia vita. Ma è stato anche quello più difficile. Prima lavoravo in una società di consulenza finanziaria a Milano, ma mi sono resa presto conto che quella non era la mia strada. Dopo quattro anni sono quindi tornata nella mia città natale, Ivrea, dove ho aperto una società che si occupava di organizzazione di eventi sportivi e culturali. Era un progetto in cui credevo tantissimo e sui cui avevo investito tutte le mie risorse e tutta la mia passione. Ma dopo quattro anni l’azienda è fallita. Quello è stato il momento più duro perché non avevo idea di quale potesse essere la mia strada. Avevo sì una grande passione, che mi accompagna fin da piccola, per il viaggio e lo sport, ma l’avevo sempre considerata appunto una passione, qualcosa di relegato ai momenti liberi e di vacanza. Anche per questo dico sempre che ho avuto una vita pre giro del mondo e una post. Nella fase “pre” ho seguito strade che non avevo davvero scelto, non ero sicura di chi fossi e di che cosa volessi fare, mi facevo influenzare molto dagli altri; quindi vivevo in una situazione di malessere di fondo perché mi rendevo conto che avrei voluto essere tutt’altro, ma non trovavo il coraggio di cambiare e non sapevo neanche come esprimere quell’”altro”. Quindi il fallimento per me è stata una rinascita perché di fronte a me avevo due opzioni: tornare a lavorare in consulenza e quindi a fare qualcosa che non mi piaceva, oppure tentare di cambiare totalmente la mia vita. E in quel momento ho avuto l’idea un po’ folle di fare questo giro del mondo in bicicletta.

Come si è organizzata per fare questo giro del mondo?

È stato complicatissimo da tutti i punti di vista. Avevo appena chiuso un’azienda, quindi non avevo la disponibilità economica per partire. Così ho iniziato una ricerca di sponsorizzazioni scrivendo a 4500 direttori marketing di altrettante aziende; non avevo però un background da sportiva avvezza a quel tipo di attività per cui era difficile credere in quello che mi stavo preparando a fare. Anche dal punto di vista logistico è stato molto complicato: ho pedalato per 30mila chilometri in 144 giorni, anche in zone difficili come l’Asia, attraversando 24 paesi e 25 frontiere. Un’altra difficoltà, positiva però, è stata la gestione del team che mi ha affiancata. Ero molto motivata a compiere questo giro del mondo per cui ho cercato di organizzarmi al meglio per raggiungere l’obiettivo. Per questo ho deciso di farmi assistere da alcuni amici, anche perché non mi potevo permettere dei professionisti. Quindi anche la gestione delle due/tre persone che mi hanno seguita è stata stimolante ma impegnativa: ero molto motivata ma non è stato semplice stare insieme cinque mesi, vivendo in una situazione di continua rincorsa di un orologio che scandiva il tempo. E poi c’è stata anche una difficoltà fisica. Io ero sì una ragazza sportiva ma la bicicletta non aveva mai fatto parte della mia vita: ho iniziato a pedalare a 30 anni, a 33 ho fatto giro del mondo. La parte mentale è stata in assoluto la più difficile da gestire: si trattava infatti di pedalare tante ore, da sola, con qualunque condizione meteorologica. C’è stata dunque una grande preparazione anche dal quel punto di vista, forse ancor più che sotto l’aspetto fisico. In più, durante il percorso, precisamente in Arizona sono stata investita da un’auto, riportando la rottura della quinta vertebra cervicale. Dopo 4 lunghi mesi di riabilitazione sono ripartita dallo stesso punto dell’incidente e ho proseguito la mia impresa rientrando a Ivrea il 30 novembre 2014 e battendo il record precedente, nonostante tutto, di 8 giorni.

Che valore ha oggi la bicicletta per lei? É importante anche nel suo lavoro di coach e speaker motivazionale?

La bicicletta oggi è la mia vita: attraverso di lei trovo stimoli, spunti e insegnamenti che poi riporto in azienda con la mia attività di speaker motivazionale, scrivo nei miei libri o utilizzo nelle attività di coaching con le persone. Ma la bici per me è anche uno strumento di “solidarietà”, perché è alla portata di tutti ed è il mezzo più sostenibile al mondo. Infatti, tutti i progetti di sostenibilità ambientale in cui sono impegnata derivano dalla bicicletta, che per me è anche il massimo strumento di libertà. Quando sono in bici sono la persona che voglio essere e soprattutto sono felice, che credo sia la cosa più bella.

Alla luce delle sue esperienze, che cosa pensa delle infrastrutture ciclabili in Italia? Ci sono differenze tra nord e sud e soprattutto con l’estero?

Il bilancio purtroppo è disastroso… avendo girato molto mi sono resa conto che soprattutto a livello europeo, ma anche rispetto a paesi come Stati Uniti ed Australia, l’Italia è molto indietro. C’è poi una differenza anche tra nord e sud. La due maggiori differenze che ho riscontrato, anche nell’ultimo viaggio che ho fatto, sono di tipo culturale e infrastrutturale: all’estero esiste una cultura della bicicletta che da noi non c’è, chi pedala viene rispettato. Ed è così in tutti i paesi europei, da quelli del nord alla repubbliche baltiche, alla Polonia fino alla Spagna. Quest’ultima è molto simile all’Italia ma negli ultimi 10 anni è profondamente migliorata. Dal punto di vista infrastrutturale quando sono fuori dall’Italia, parlando di strade extraurbane, riesco quasi sempre a pedalare su piste ciclabili. Ma anche quando mi addentro in città come Parigi, Bruxelles o Berlino ci sono infrastrutture per i ciclisti, quindi le persone si possono spostare in bicicletta per andare a lavorare, fare la spesa o portare i bambini a scuola. Secondo me c’è quindi un abisso con l’Italia, che è destinato ad ampliarsi perché gli altri paesi europei si stanno muovendo sempre di più in direzione di forme di mobilità sostenibile, invece noi stiamo quasi andando indietro. Ci sono le eccezioni, ad esempio il Comune di Bologna, ma io credo che dovrebbe essere adottata una visione a livello nazionale, di governo che da noi è molto “autocentrico”. L’automobile, infatti, è ancora lo status symbol e questa concezione non permette alle persone di utilizzare la bicicletta in tranquillità: mancano la sicurezza e le infrastrutture quindi anche chi magari vorrebbe utilizzare la bici non lo fa e usa l’auto. Anche guardando oltre l’Europa, in Australia e Stati Uniti ad esempio dove sono stata diversi anni fa, c’è rispetto per i ciclisti: chi va in bici viene considerato a tutti gli effetti un utente della strada, come l’automobilista o il pedone, e non una persona che non sa che cosa fare o che perde tempo come succede da noi.

C’è disponibilità da parte degli amministratori a dialogare rispetto ai temi della ciclabilità?

Da parte del governo non c’è disponibilità e questo vale a prescindere dall’orientamento politico dei suoi rappresentanti. Non parlo dunque esclusivamente dell’ultima legislatura, ma dei governi che si sono succeduti negli anni. E questo è un grosso problema. Al contrario, i singoli Comuni, anche piccoli, sono più sensibili all’argomento. Da dieci anni sto portando avanti il progetto Io rispetto il Ciclista e, proprio in questo ambito, avevamo chiesto al Parlamento l’introduzione della legge sul metro e mezzo di distanza dai ciclisti: si tratta di una legge che non avrebbe nessun costo ma non è mai stata introdotta, mentre esiste in molti altri paesi europei. Diversi partiti politici ci avevano assicurato che si sarebbero impegnati in tal senso, ma poi non se n’è fatto più nulla. Ad oggi questo limite del metro e mezzo è stato sì introdotto dal Ministero dei trasporti ma vale solo sulle strade in cui è possibile sorpassare quindi di fatto non serve a niente. Invece diversi singoli Comuni a cui abbiamo chiesto, ad esempio, di posizionare dei cartelli che invitano a rispettare la distanza di sicurezza dai ciclisti hanno risposto positivamente, dimostrandosi sensibili all’argomento. Quindi ciò che fa la differenza è la presenza o meno, all’interno delle singole amministrazioni, di persone “visionarie” che abbiano voglia di impegnarsi.

Ha menzionato il progetto Io Rispetto il Ciclista… ce lo racconta?

Io Rispetto il Ciclista è un progetto nato nel 2015, insieme a Marco Cavorso, papà di Tommaso, ucciso nel 2010 a 14 anni da una macchina che ha fatto un sorpasso azzardato, e dal campione di ciclismo Maurizio Fondriest. L’obiettivo è divulgare la cultura del ciclismo e del rispetto del ciclista sulla strada. In Italia viene ucciso un ciclista ogni 35 ore. Noi cerchiamo di sensibilizzare e di fare in modo che ci sia una giusta convivenza tra ciclista e automobilista. Abbiamo contattato tutti i Comuni italiani chiedendo di installare cartelli di rispetto del ciclista, che invitano gli automobilisti a superare chi è in bici tenendo come minimo un metro e mezzo di distanza. Ad oggi sono stati installati oltre 7000 cartelli in più di 700 comuni: è comunque difficile tenere il conteggio perché ci sono tanti Comuni che li stanno installando autonomamente, anche su richiesta dei singoli cittadini. Proprio quest’ultimo elemento è molto positivo perché dimostra che c’è una partecipazione attiva delle persone. L’idea a lungo termine è quella di riuscire a riempire l’Italia  di questi cartelli. Ma è solo un primo passo: l’obiettivo finale, infatti, è non avere più ciclisti morti sulle strade, e passa attraverso l’incoraggiamento all’Italia ad adottare tutti quei comportamenti, normative e infrastrutture che ci sono già in altri paesi europei. É un obiettivo ambizioso ma ci crediamo. Andiamo anche molto nelle scuole, facendo educazione con i ragazzi: ma devo dire che pochi di loro usano la bici per andare a scuola perché, come dicevo prima, non ci sono le infrastrutture, ma soprattutto non c’è la cultura della bicicletta nei genitori. In alcuni luoghi esistono i bicibus ma sono davvero ancora troppo pochi in Italia. Il nostro obiettivo è dunque cercare di diffondere il più possibile il verbo del pedalare in sicurezza, per rendere l’Italia un paese ciclabile.

Come ha affrontato il periodo Covid, lei abituata a girare il mondo in bici?

É stato un periodo nero perché avevo molti programmi che ho dovuto annullare. Ad esempio, avrei dovuto fare per il terzo anno consecutivo il giro d’Italia un giorno prima dei professionisti, sempre nell’ottica di sensibilizzare le persone sull’uso della bicicletta. Per cui è stato un momento difficile, ma è stata un’ulteriore occasione per reinventarmi. Ho portato avanti il progetto di rispetto dei ciclisti sulla strada, inaugurando la posa dei cartelli di rispetto e invitando tutti i comuni italiani a posizionarli; ho conseguito il mio quarto record del mondo pedalando dodici ore in casa sui rulli, per un totale di 366 chilometri, con l’obiettivo di raccogliere fondi per acquistare 10mila mascherine che poi ho donato a due ospedali piemontesi, il Regina Margherita di Torino e l’Ospedale di Ivrea. Per cui quello che ho imparato è che, con un po’ di fantasia e voglia di fare, ci si può sempre reinventare, anche quando accadono eventi imprevisti che non dipendono da noi.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Per me l’obiettivo principale è riuscire a far sì che non ci siano più ciclisti morti sulle strade italiane; anche se confrontarsi su tematiche più grandi che non dipendono da me è molto più difficile che pedalare per 30mila chilometri facendo il giro del mondo. Oggi il mio impegno è interamente focalizzato sul cambiare l’Italia rendendola ciclabile e sicura.

Le imprese di Paola Gianotti

Sono diverse e numerose le imprese che Paola Gianotti ha compiuto in sella alla sua bicicletta, per sensibilizzare cittadini e istituzioni spingendoli all’adozione di forme di mobilità sostenibili e rispettose dell’ambiente. Alcune le racconta nell’intervista, altre sono raccolte qui di seguito.


BIKE4TREE – da Stoccolma a Milano, 2022 km x 2022 piante

Dal 25 febbraio al 10 marzo 2022, Paola ha pedalato da Stoccolma a Milano per 2022 km, con l’obiettivo di piantare 2022 alberi in Italia. L’iniziativa ha visto la collaborazione del Ministero della Transizione Ecologica e dei Carabinieri Forestali per divulgare le azioni necessarie da intraprendere per essere ambientalmente sostenibili. La partenza è stata sotto l’ambasciata russa alla manifestazione per la pace con Greta Thumberg, e lungo il percorso Paola è stata ospite del Parlamento Europeo, donando una talea alla vice presidente Pina Picierno.

 

ALL 4 BIKE – da Roma a Milano con il MiTE 2021

Dal 23 al 27 settembre Paola ha pedalato da Roma a Milano per 740 km, in collaborazione con il Ministero della Transizione Ecologica, per arrivare allo YOUTH4CLIMATE e parlare di sostenibilità ambientale attraverso l’utilizzo della bicicletta.

 

GIRO PER LA SICUREZZA – Giro della Calabria & Sicilia  2021 – Toscana 2020 – Piemonte 2020

Dal 13 al 19 luglio Paola ha percorso la ciclovia della Calabria e alcune città della Sicilia orientale, cooperando con i comuni per installare oltre 600 cartelli sul Rispetto del Ciclista sulla strada. L’anno prima, dal 15 al 22 settembre, ha pedalato in Toscana coinvolgendo 35 comuni per installare oltre 200 cartelli. Qualche mese prima, dal 12 al 20 luglio, Paola ha attraversato tutto il Piemonte coinvolgendo 80 comuni per installare oltre 500 cartelli.


 GIRO D’ITALIA 2018 e 2019

A maggio 2018 e a maggio 2019 Paola ha percorso tutte le tappe del Giro d’Italia un giorno prima dei professionisti, pedalando per oltre 3.000km e superando i 40.000 metri di dislivello ripercorrendo le orme di Alfonsina Strada, (prima e unica donna che nel 1924 ha partecipato al Giro d’Italia), per portare avanti la campagna di sicurezza sulla strada Io Rispetto Il Ciclista ideata con Marco Cavorso.

 

TRAVERSATA DEL GIAPPONE – GUINNESS WORLD RECORD 2017


Paola ha realizzato un terzo record del mondo attraversando il Giappone da Nord a Sud. 2.740 km in 9 giorni (pedalando per una media di 308km al giorno) per continuare il progetto di solidarietà iniziato l’anno precedente. Sono stati così raccolti fondi per creare una micro-officina in Karamoja (Uganda) e formare dei meccanici locali in collaborazione con Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo. Paola detiene tuttora questo record.

 

48 STATI IN 43 GIORNI – GUINNESS WORLD RECORD 2016

Il primo maggio Paola è partita per battere un secondo record del mondo: ha pedalato per 11.543km attraversando tutti gli Stati degli Usa in 43 giorni. Un’impresa che è stata anche un’importante campagna di solidarietà per le donne dell’Uganda. Sono stati infatti raccolti fondi per acquistare 73 biciclette che nell’Ottobre 2016 Paola ha consegnato a 73 donne in Uganda insieme ad Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo. Anche questo record è detenuto tuttora da Paola.

 

BIKE THE NOBEL 2016


Paola è stata testimonial della campagna promossa da Radio Rai2 Caterpillar portando la candidatura della bicicletta come premio Nobel alla Pace da Milano a Oslo. 2.000km in pieno inverno per far giungere a destinazione le oltre 10.000 firme raccolte in tutto il mondo. Partenza il 16 gennaio e arrivo ad Oslo il 29: un’impresa significativa perché il premio era destinato alla prima squadra di ciclismo femminile afgana che quotidianamente lotta per la libertà e per i propri diritti.

 

RED BULL TRANSIBERIAN EXTREME 2015


A luglio 2015 Paola ha attraversato la Russia da Mosca a Vladivostock partecipando, come unica donna in coppia con l’ultracycler vicentino Paolo Aste, alla prima edizione della RedBull Transiberian Extreme. Il percorso si snodava lungo il leggendario percorso della Transiberiana: 9.200km con oltre 60.000 di dislivello, 9 fusi orari, 7 zone climatiche diverse.

 


Giulia Galliano Sacchetto
Giornalista professionista, con alle spalle esperienze in diversi campi, dalla carta stampata al web. Mi piace scrivere di tutto perché credo che le parole siano un’inesauribile fonte di magia.

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