Fabiana Dadone

Ministro per la Pubblica Amministrazione
25 Novembre 2020 |
Gianmarco Nebbiai

Una Pubblica Amministrazione vicina al cittadino non ha bisogno di essere fisicamente vicina, deve esserlo attraverso servizi e risultati che, oggi, sono in gran parte digitali.
Se questa è la meta, allora, il lavoro agile diventa un fattore determinante di trasformazione e spinta al cambiamento.
Introdurre questa nuova condizione di lavoro richiede una nuova e precisa focalizzazione sugli obiettivi dei singoli e delle unità organizzative, sulle fasi significative dei processi e, se offre autonomia e comodità ai lavoratori pubblici, chiede anche responsabilità e risultati misurabili.
Nel lavoro agile, insomma, dobbiamo vedere la chance di accelerare quel processo più complesso e globale di modernizzazione che avrà senso se saprà arrivare in tutti gli enti della PA e in tutti gli smartphone degli italiani, come spiega in questa intervista il Ministro per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone.
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Ministro, non possiamo che partire da un bilancio sullo smart working ‘di necessità’ di questi mesi, cosa ha rappresentato per il Paese e cosa ha rappresentato per la PA?
“Ha rappresentato la scintilla di un grande cambiamento. Il mondo improvvisamente ci ha messi di fronte a un nuovo paradigma, ci siamo trovati di fronte a una emergenza senza precedenti e lo Stato aveva a quel punto due strade: abbassare la saracinesca come hanno fatto le attività private oppure reagire, organizzarsi e provare a erogare i servizi essenziali in una modalità diversa. Non nascondo problemi o défaillance, ma la macchina pubblica non ha arretrato, in alcuni casi sono stati ottenuti risultati straordinari e in generale abbiamo garantito coesione e tenuta alla collettività”.

Quanti sono al momento i dipendenti pubblici che operano da remoto, quali sono le amministrazioni più coinvolte?
“La norma adesso stabilisce che operi in modalità agile almeno la metà dei dipendenti impegnati in attività potenzialmente svolgibili da remoto. Siamo nell’ordine di alcune centinaia di migliaia: ho letto qualche polemica pretestuosa e vorrei precisare che siamo in una fase diversa rispetto al lockdown, nessun servizio si ferma e quelli che non possono essere resi a distanza saranno resi in presenza. Dunque, le Pa manterranno la fluidità dei rapporti con cittadini e imprese. Naturalmente le amministrazioni centrali hanno più dimestichezza con lo strumento e più facilita ad applicarlo in modo efficiente, ma noi stiamo aiutando e sostenendo anche le Pa periferiche”.

Che cosa pensano i dipendenti pubblici di questa esperienza?
“Naturalmente lo smart working d’emergenza è stato un remote working forzato, da casa. A regime sarà molto diverso. Il lavoratore è chiamato a una sfida: trasferire il maggior benessere organizzativo in una maggiore produttività. L’autonomia vuole in cambio responsabilità e capacità organizzativa. L’impatto professionale e psicologico, comunque, è generalmente positivo”.

E i dirigenti?
“A loro tocca il primo sforzo di innovazione organizzativa, oltre che di cambiamento culturale. Con lo smart working si passa dalla logica del controllo fisico, della presenza a quella della predisposizione di obiettivi, anche di breve termine, e della valutazione di risultati. Una vera rivoluzione copernicana”.

Che dimensione avrà la smartworking nella PA dopo l’emergenza?
“Una dimensione importante, anche se non si svuoteranno totalmente gli uffici. Naturalmente, lo strumento dei Pola (Piani organizzativi del lavoro agile) prevede in lavoro agile, a regime, almeno il 60% del personale impegnato in attività eseguibili da remoto, ma la platea dei lavoratori potenzialmente interessati ovviamente si allargherà via via che i processi saranno reingegnerizzati in ottica digitale”.

Dopo decenni di dibattito, spesso anche troppo enfatizzato, sulla scarsa digitalizzazione della PA (processi e competenze delle risorse umane) che consapevolezza abbiamo acquisito sulle capacità della macchina amministrativa? Siamo pronti allo smart working come opportunità?
“Dobbiamo esserlo, il mondo cambia e noi dobbiamo governare questo cambiamento. Naturalmente ci sono aree della Pa ad oggi più pronte di altre, ma la Funzione pubblica sta accompagnando tutti gli enti, anche i più piccoli, perché l’innovazione non avrà mai l’impatto che merita di avere se non sarà anche inclusiva. Nel frattempo, abbiamo intensificato gli approvvigionamenti Consip in tecnologia, abbiamo reso più snelli gli acquisti in cloud per le amministrazioni, con un occhio di riguardo alle nostre start-up innovative, e abbiamo velocizzato le procedure per la posa della banda ultra larga. È un processo in divenire, naturalmente, ma stiamo accelerando, basti pensare allo switch del prossimo 28 febbraio, data nella quale tutte le transazioni con gli enti pubblici passeranno da PagoPa, tutti i servizi dovranno essere accessibili con Spid e Cie e trasferiti anche su AppIO”.
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Cosa significa ripensare le performance della Pubblica Amministrazione chi dovrà farlo?
“Significa fondamentalmente passare dalla logica dell’adempimento, della scartoffia, della procedura da portare a termine, ma fine a sé stessa, alla logica del risultato, della soddisfazione dei cittadini. Ecco perché la performance viene valutata sì dal dirigente, ma abbiamo introdotto delle linee guida sulla valutazione partecipativa perché, in definitiva, il giudizio degli utenti deve contare in modo decisivo nella misurazione delle performance di un ufficio o di un ente”.

C’è il pericolo che proprio il perdurare dell’emergenza Covid possa rallentare il processo di organizzazione necessario alla reale applicazione dello smartworking (sia nella PA che nelle imprese)?
“Il lockdown è stato un evento scioccante e unico. Il Governo sta facendo di tutto per evitare che possa ripresentarsi uno scenario simile a quello e stiamo dando priorità alla difesa delle attività produttive e della scuola in presenza. Per adesso, ci sono tutte le condizioni di azione per la messa a punto del lavoro agile a regime. Naturalmente, seguiamo costantemente gli andamenti del contagio e tariamo le misure con la massima prontezza e flessibilità”.

Cosa ci si aspetta dai Pola? Crede che saranno pronti per il 31 gennaio 2021?
“Nella piena autonomia delle amministrazioni, saranno uno strumento di pianificazione organizzativa lungimirante. Consentiranno di contemperare le esigenze del lavoratore agile, quelle dell’ente e soprattutto quelle del cittadino, che restano le più importanti. E spingeranno via via gli enti a implementare la digitalizzazione per allargare lo spettro delle attività eseguibili in modalità smart”.

La Sede dell’Amministrazione, la sua presenza fisica, ha storicamente un rilievo sia simbolico che pratico sul tessuto delle città e sui cittadini. Come e dove saranno i luoghi di lavoro di questa nuova amministrazione ‘agile’, come si ricostruisce questa visibilità agli occhi dei cittadini?
“Intanto diciamo che i cittadini stanno scoprendo un modo diverso di fruire i servizi pubblici. Il cambiamento era già in atto e la pandemia ha rappresentato un fattore di drammatica accelerazione. Internet e gli stessi smartphone stanno stravolgendo lo scenario, malgrado la diffusione dei servizi pubblici digitali sia ancora maggiore della loro fruizione: ecco perché serve uno sforzo culturale e di informazione ulteriore verso l’opinione pubblica. Inoltre, vogliamo anche utilizzare le risorse del Recovery fund per cambiare il volto della Pa, a partire dal progetto dei Pta (Poli territoriali avanzati): una sorta di hub dell’innovazione che potranno servire da sedi decentrate per i concorsi, luoghi in cui si potrà lavorare in coworking, in cui si farà formazione, innovazione, anche in collaborazione con i privati, e che potranno avere punti di contatto con il pubblico”.

Un’ultima domanda, cosa potrebbe rendere più agile il lavoro quotidiano di un ministro?
“Il mio lavoro è smart per definizione, nel senso che si lavora in qualunque luogo e ora della giornata. Manca un po’ il diritto alla disconnessione, ma, scherzi a parte, so bene che il mio è un impegno a tempo, per cui devo dare il massimo per lasciare un contesto, una macchina pubblica migliore di quella che ho trovato. Abbiamo una occasione unica, non sfruttarla sarebbe davvero un peccato”.


Gianmarco Nebbiai
Cofondatore e Direttore responsabile di Innovazione.PA. Giornalista e Comunicatore d’impresa, scrive di ICT e del suo impatto sulla società e l’economia dal 1995. Segue tutti i temi legati alla trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, all’innovazione dei processi e dei servizi a disposizione dei cittadini, con particolare attenzione all’innovazione sociale e al digital healt.

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