Rodolfo Falcone

Country Manager Italia Red Hat
2 Settembre 2021 |
Gianmarco Nebbiai

La premessa del Piano nazionale di ripresa e resilienza parte dalla constatazione dei punti critici del sistema italiano. La pandemia ha colpito l’economia italiana più di altri Paesi europei perché più forti sono le fragilità dell’Italia sul piano economico, sociale e ambientale.
Il calo del Pil italiano è stato dell’8,9 per cento.
L’impatto della crisi sanitaria è stato pesantissimo con un primato in termini di decessi che ricorderemo a lungo. La crisi economica portata dalle difficoltà del lock down si è abbattuta su un Paese dove erano già presenti grandi difficoltà. Fa impressione leggere nel PNRR il confronto della crescita del PIL italiano tra 2009 e 2019 (7,9%) e quello di Germania, Francia e Spagna, cresciute rispettivamente del 30,2, del 32,4 e del 43,6 per cento.
Bisogna trovare una soluzione e dare un’alternativa ad una società nella quale il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito al 9,4%, il numero di neet, giovani che non studiano e non lavorano, è il più alto nella UE, il tasso di occupazione femminile è solo il 53,8 per cento.
La difficoltà della nostra economia da anni è legata all’andamento della produttività. Dal 1999 al 2019, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. E tra le cause principali c’è “l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale”. Le nostre piccole e medie imprese sono state troppo lente nell’adottare le nuove tecnologie e comprendere le potenzialità di modelli di business digitali. Al tempo stesso le infrastrutture informatiche del Paese sono poco adeguate. Il quadro nella Pubblica Amministrazione non è privo di punti di debolezza. Persino lo smartworking secondo il PNRR è stato usato in modo meno efficace di quanto sarebbe stato possibile.

Prima dello scoppio della pandemia, il 98,9 per cento dei dipendenti dell’amministrazione pubblica in Italia non aveva mai utilizzato il lavoro agile. E anche durante la pandemia, a fronte di un potenziale del 53% dei lavoratori pubblici che avrebbero potuto lavorare in questa modalità, l’utilizzo effettivo è stato del 30 per cento, con livelli più bassi, di circa 10 punti percentuali, nel Mezzogiorno.
Le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea attraverso il Next Generation EU (NGEU) devono servire per colmare questo ritardo.
È un’occasione che il Paese non deve fallire per modernizzare la Pubblica Amministrazione, rafforzare il sistema produttivo, ridurre la povertà e gli squilibri sociali.
Se l’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del NGEU: il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU), la responsabilità delle istituzioni che saranno chiamate a investire e distribuire queste risorse lungo nelle missioni e piani individuati dal PNRR è enorme. Il solo RRF garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. Saranno necessaria una grande efficacia, capacità di governance e di fare sistema, senza spazio per le tipiche frammentazioni e i comportamenti difensivi dei nostri livelli amministrativi.
Non meno responsabile e costruttivo deve essere il ruolo dei privati a partire dagli abilitatori tecnologici che della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione e del sistema produttivo saranno i principali attori.

Per questo, InnovazionePA, si confronta con Red Hat impresa che è sinonimo di Cloud, uno degli strumenti chiave sui quali poggia la trasformazione digitale e la modernizzazione del sistema.

Da questa intervista a tre voci con Rodolfo Falcone, Country Manager Italia, Simone Puksic, Head of Sales Solution Specialist e Pasquale Rongone, Sales Manager, emerge fortunatamente il quadro di una reazione innescata, sia tra le imprese sia nella Pubblica Amministrazione che non sembra volersi arrestare. Il percorso resta complicato ma lo scatto è stato impressionante e ora la sfida è sostenere il passo e trovare il modo di avanzare insieme, di fronte ad opportunità da cui dipende il futuro del Paese e delle prossime generazioni.

Rodolfo Falcone

Dall’inizio della pandemia Covid-19 i costi per il Paese sono stati enormi. Ma insieme alle ombre non sono mancate le luci. Tra queste la capacità della PA di sterzare verso i servizi digitali con una decisione mai vista in precedenza e una risposta da parte dei cittadini sorprendente. Sono gli elementi sui quali costruire un nuovo modello economico e sociale, nel quale Pubblico e Privato devono imparare a contaminarsi cominciando dalla capacità di ascoltare i bisogni, come si fa nella cultura open source;  parola di Red Hat.  
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Il 2020 deve essere stato un anno particolare per Red Hat Italia, il primo anno dopo l’acquisizione da parte di IBM, alle prese con l’Italia in lockdown, con tutte le filiere in crisi e al tempo stesso alla ricerca di soluzioni digitali quasi in ogni settore. Qual è la vostra visione di questo scenario?

“Tutto il 2020 e questa parte del 2021 è stata caratterizzata per noi da ritmi di lavoro altissimi. Abbiamo fatto quello che avremmo pensato di fare tra dieci anni. In una modalità completamente nuova. L’infrastruttura IT per reggere certi carichi è dovuta cambiare ovunque, aumentando e cambiando tutta una serie di paradigmi; le organizzazioni lo hanno realizzato con chiarezza e stanno affrontando il tema a tutti i livelli.

La videoconferenza, per esempio, è divenuta improvvisamente standard di lavoro per milioni di persone. Lo scorso anno è stata addirittura l’unica possibilità di lavoro nella maggior parte dei settori”.

E aspetti come questo sono ormai così consolidati da far pensare che indietro non si tornerà. Che ne pensa?

“Noi sponsorizziamo l’Hybrid Cloud e questa nostra vita sarà un Hybrid Norm. Vuol dire che il lavoro da remoto è diventato o diventerà presto una cosa del tutto normale.

Si tratta di una cosa che in Italia, sino ad un anno fa in molti settori non era comune o immaginabile. Ma si è imposta così chiaramente che tutti troveranno il modo di adeguarsi.

Faccio un esempio che riguarda noi. Tra due anni abbiamo in programma di cambiare sede e, nonostante la crescita di personale, prenderemo probabilmente un ufficio delle stesse dimensioni, con meno scrivanie ma più sale riunioni e più spazi ludici. Perché l’ufficio è destinato a diventare un meeting point. La sede, intesa come il posto in cui si lavora dalle 9.00 alle 18.00, non esiste più per quanto ci riguarda. Io non mi alzerò più alle 6.30 per saltare la coda ed essere in sede alle 8.30, ma farò le mie call sino alle 10.00 per poi partire ed essere in ufficio in venti minuti. Oppure andrò agli appuntamenti previsti per poi tornare a lavorare da casa. La sede servirà per gli incontri fisici con le persone. Ma più della modalità di lavorare è cambiato il modo di vivere nel quotidiano. Tutti hanno acquisito esperienze diverse, tutti hanno dovuto fare acquisti on line. È un trend che non si ferma perché, in realtà, è più comodo, è facile e spesso costa meno.

E allora le aziende si sono dovute adeguare, organizzare per essere più orientate verso il cloud e verso la parte business. E se cambiano la modalità di lavorare e di vivere allora devono cambiare anche tutte le infrastrutture che rendono possibile la vita. Questo vale anche per la Pubblica Amministrazione”

Nella difficoltà del periodo trova, quindi, che la reazione sia adeguata?

“Noi abbiamo dei segnali fortissimi. Ormai siamo la piattaforma di riferimento per la maggior parte della pubblica amministrazione centrale e vediamo una grossa spinta da parte di queste istituzioni. Lo scorso anno abbiamo lavorato almeno il triplo del normale e lo stesso hanno fatto i nostri clienti. I dipartimenti IT delle aziende sono diventati molto più importanti di prima, perché non investire in questo settore l’anno scorso avrebbe significato essere tagliati fuori dal proprio business. Pensiamo ai supermercati e al servizio di spesa on line. Il primo mese non si riusciva a fare spesa in questo modo, perché le imprese non erano attrezzate per poter gestire con questi servizi una domanda cresciuta in modo esponenziale. Gli esempi del cambiamento sono intorno a tutti noi. Mia moglie all’inizio della crisi faceva la spesa alle quattro del mattino per non dover andare al supermercato. In realtà, in breve tempo tutte le catene si sono attrezzate. In due mesi lo scenario è cambiato. Tra marzo e aprile abbiamo visto questo settore adeguarsi per sostenere l’impatto. Tante imprese si sono salvate perché hanno saputo digitalizzare il business realizzando in due mesi quello che avrebbero fatto, forse, nei prossimi anni”.

La portata del cambiamento è stata radicale, ma dalla resistenza ora si passa al tema della costruzione, il Paese è pronto?

“Durante tutto questo periodo ho fatto incontri virtuali con C-level di tantissime imprese; nella prima fase dopo le chiusure mi sentivo frequentemente dire che avevano l’esigenza di comprare migliaia di pc portatili in una settimana. Bisogna rendere onore al merito di tutti questi team che hanno lavorato sotto una pressione incredibile portando, di fatto, le loro imprese nella next generation. Ora siamo nel mezzo di questa trasformazione. Le risorse del PNRR daranno un’altra accelerata, specie nella Pubblica Amministrazione. Parlando con tante amministrazioni quasi giornalmente vedo grande fermento, un impegno serio per riuscire a erogare servizi innovativi ai cittadini.

C’è anche da dire che questa nuova normalità ha anche ottimizzato tantissime cose. Prima di questo generale cambiamento non avrei mai pensato di riuscire ad organizzare quattro meeting con i miei clienti in una giornata. Oggi è la normalità. Siamo di fronte ad uno scenario tutto nuovo e la cosa che mi ha stupito è stata l’immediata capacità di adattamento di tutti gli italiani. Sia dei clienti, sia dei fornitori.

Insomma credo che sia l’inizio di una nuova era e, in questo senso, siamo fortunati”.

Ma dal punto di vista degli strumenti siamo pronti? Cominciamo ad avere la sensazione che in questa ‘nuova era’ ci serve qualcosa di più?

“La media e la grande impresa sono pronte. La piccola impresa invece è rimasta forse un po’ indietro.

Io vivo in un territorio fatto di queste imprese, piccola manifattura guidata da imprenditori operai. Francamente sono realtà che fanno fatica a capire il cambiamento o i vantaggi dello smartworking.

Ma forse sono realtà che, superate le difficoltà di questa fase, non avranno bisogno di grande innovazione. Se, invece, guardiamo alle imprese che hanno dimensioni dai cento dipendenti in su il cambiamento è già tangibile e comunque non evitabile. Poi ognuno sta trovando il proprio modo di affrontarlo. Le grandi imprese si rivolgono a operatori come noi, capaci di realizzare progetti di grande impatto; realtà di minori dimensioni trovano le soluzioni attraverso le telco o agli hyperscaler. Oggi l’offerta è così ampia che l’approccio all’innovazione è realmente a portata di mano. Anche questo è parte del grande cambiamento. Se poi volessi essere un po’ malevolo potrei dire che chi non userà certi strumenti ad un certo punto sparirà, ma ho fiducia nel fatto che il tessuto del Paese abbia compreso l’importanza della trasformazione digitale”.

Insomma non è più un terreno frequentato soltanto dagli innovatori, il solco è ben tracciato.

“Direi che è anche molto ampio. Ci si può entrare con grande facilità e quando le cose diventano semplici tutti le seguono perché anche i costi si abbattono. Se un tempo per allestire il proprio sito, dotarsi di un sistema di posta elettronica, gestire l’infrastruttura IT bisognava andare da fornitori diversi, oggi c’è la possibilità di rivolgersi ad un solo operatore con servizi settati sul bisogno e, grazie al cloud, non c’è neanche bisogno di tenere tutto questo in casa”.

Torniamo per allora alla PA. Quali sono le linee d’azione sulle quali ha lavorato meglio e quali sono quelle sulle quali è ancora necessario intervenire?

“Le amministrazioni pubbliche in questa fase hanno lavorato sulla ‘capienza’ dei propri sistemi informativi perché la domanda è aumentata in modo enorme. In molti casi hanno innovato con soluzioni che hanno consentito loro di essere rapidamente up and running. Pensiamo a quello che si sta facendo con i sistemi vaccinali nelle regioni. Poste italiane ha attivato il sito di prenotazione dei vaccini in brevissimo tempo. Sono stati fatti grandi investimenti in infrastruttura, ma anche nei sistemi, nei software e in tutta la parte applicativa. Oggi, il cittadino è più vicino alla possibilità di fare tutto dal proprio smartphone. La diffusione di Spid comincia realmente ad aprire le porte ad una serie di servizi utili e tangibili ai cittadini. Sono cose che, di fatto, sino ad un anno e mezzo fa non c’erano”.

Eppure non sempre è andato tutto bene. Pensiamo ai classici ingolfamenti da click day. Come si evitano problemi di questo tipo?

“Purtroppo c’è poco da fare! Battute a parte, quando si crea grande attesa queste cose vanno messe in conto e, per quanto si prendano le misure, le attese possono sempre essere superate. Non succede solo alle amministrazioni, pensiamo a fenomeni come il black friday. Una volta prese le misure di dimensionamento informatico più idonee, quello che si può fare è dividere, settorializzare le fasi di accesso dell’utenza. Un grande progetto, anche se rivolto a tutta la popolazione deve essere diviso per fasce. È l’esempio positivo che ci viene da progetti come quello di Poste di cui ho parlato. Eppure dobbiamo mettere in conto che quando c’è grande attesa l’avvio può riservare questi inconvenienti.

Se posso dare un consiglio alla pubblica amministrazione è quello di ascoltare la gente, cosa che senza dubbio aiuta nel fare le scelte giuste. Noi siamo cresciuti nella cultura delle soluzioni open source che, semplicemente, sono fatte dalla gente. Ci sono milioni di sviluppatori che contribuiscono a realizzare i prodotti. Red Hat sceglie ciò in cui crede e gli dà una conformazione enterprise ma sono le persone che sviluppano i prodotti in funzione delle esigenze che tutti i giorni hanno. Bisogna saper ascoltare i trend, sono i desideri delle persone che creano le innovazioni e possono guidarci alle scelte giuste”.

Possiamo pensare a servizi nuovi da parte della PA se si adottasse questo modello?

“Credo che vedremo grandi passi avanti nel settore della telemedicina per esempio che, da nicchia, potrebbe diventare la nuova frontiera dei servizi sanitari”.

Questo è un approccio che per anni nella PA è mancato, a causa di modelli procedurali in gran parte autoreferenziali e, spesso, difensivi.

“Sì, ma io credo che la svolta ci sia ormai stata. A fine 2022 avremo un panorama di servizi pubblici completamente diverso. C’è veramente un grande movimento sia a livello centrale sia locale e il sistema si è velocizzato anche grazie al ruolo di attori come Consip”.

Come cittadino quali crede che siano i settori della Pubblica Amministrazione in cui la svolta è più urgente o sarebbe più utile per il Paese?

“Il primo settore che deve accelerare è la sanità, ha un valore sociale troppo rilevante. Poi credo che occorra risolvere tutto quello che attiene ai temi anagrafici degli italiani e i servizi di tipo economico e fiscale”.

È ormai passato del tempo dalla vostra acquisizione da parte di IBM cosa è cambiato nella vostra visione?

“L’ampiezza dell’offerta a disposizione di IBM – Red Hat onestamente è unica. Spaziamo dal Cloud, all’AI, all’infrastruttura e alle piattaforme. Siamo rimasti indipendenti pur facendo parte dello stesso gruppo. Lavoriamo insieme sui più grandi clienti italiani e, dal nostro punto di vista, avere a fianco IBM è una grandissima opportunità di business. Loro portano una grande capacità di penetrazione sul mercato e noi una grande attitudine all’innovazione. Oggi, Red Hat va vista come la piattaforma tecnologica e culturale a servizio del sistema paese.
Se la PA deve cercare di trasformarsi digitalmente, deve farlo tramite piattaforme tecnologiche che le consentano di eliminare le barriere del passato come quelle legate alla trasparenza dei dati, all’interoperabilità, al fatto di non lavorare per silos. Inoltre la PA dovrebbe cercare di contaminarsi il più possibile con persone che provengono da ambienti che lavorano proprio in questo modo e con una maggiore apertura all’innovazione e alla ricerca. Red Hat crede in tutto questo e propone cultura dell’innovazione, della ricerca e della collaborazione. Uno dei nostri valori principali è l’accountability, che ritengo sia qualcosa di estremamente importante per la PA e il Paese. Nel momento in cui stanno per arrivare risorse del PNRR per circa 200 miliardi di euro, una cifra che mai è stata iniettata all’interno del sistema nella storia della Repubblica, il tema della responsabilità nella spesa è primario. Non solo per chi le spende, ma anche per l’impatto che resterà sulle generazioni future. È un tema che mettiamo sempre a fuoco negli incontri anche istituzionali che stiamo facendo con tanti interlocutori”.
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Pasquale Rongone

Sales Manager Red Hat

Di questa capacità di allestire nuovi servizi per grandi utenze, l’architettura e i servizi cloud sono stati un elemento fondamentale. Dando il via, su una scala più ampia, a quel percorso di attuazione del principio ‘Cloud first’ da tempo inserito nella strategia digitale della PA. Approfondiamo il tema con chi in Red Hat si confronta in modo più diretto con il mercato Pubblico
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Come ha reagito la PA alla difficoltà di questo periodo?

“Lo shock e la reazione alle difficoltà poste dal C ovid segnano in ambito digitale un prima e un dopo. Una cosa che osservo è che molti dei temi dei quali si sta discutendo ora, per i quali si stanno individuando risorse e si sono concretizzati progetti, sono stati a lungo sul tavolo come obiettivi, sperimentazioni. Per alcuni aspetti parliamo di venti anni.

La crisi dovuta al Covid ha insegnato alle amministrazioni pubbliche che certe soluzioni, alcuni cambi di processo, la trasformazione digitale non sono teorizzazioni, oggi sono fattori di sopravvivenza. Se non avessimo avuto a disposizione la rete, e il discorso non vale certo solo per l’Italia, quasi tutto si sarebbe bloccato”.

Questo dimostra quanto le infrastrutture digitali siano diventate asset strategici per il Paese. Lo sapevamo già, ma ora è dimostrato.

“Il fatto di poter mettere in work from home centinaia di migliaia di dipendenti pubblici, il fatto che la macchina amministrativa non si sia fermata e i servizi dello stato ai cittadini abbiano continuato funzionare, lo abbiamo ottenuto grazie alla rete e alle tecnologie già diffuse o disponibili.

Per la prima volta abbiamo avuto una dimostrazione tangibile dei vantaggi che derivano dalla digitalizzazione dei processi e delle modalità di interazione digitale applicati su larga scala in tanti settori. La prima lezione che tutti abbiamo imparato è che le esperienze di punta possono e devono diventare delle prassi, da istituzionalizzare se occorre, ma comunque portate a ‘sistema’ per essere utilizzate in modo strutturato e con una visione strategica”.

In altre parole, possiamo dire che dall’attuazione teorica dei programmi di innovazione della Pubblica Amministrazione ora si è avviato un processo di attuazione pratica e sistematica delle soluzioni disponibili?

“Per dare un esempio, dopo anni di resistenze più o meno dichiarate, tutte le amministrazioni pubbliche, anche quelle più ‘legacy’, si stanno organizzando per adottare soluzioni cloud. Solo due anni fa, malgrado l’obiettivo strategico fosse già definito, era facile trovare amministrazioni che sostenevano l’impossibilità di mettere i propri dati in cloud. Dati riservati, dati sensibili, tutte cose che dal perimetro del proprio Ced non potevano uscire. Il fatto che in poche settimane la PA tutta si è trovata di fronte alla necessità diffusa di far lavorare le persone da casa, ha fatto superare tutte queste resistenze.

Subito dopo, ci si è resi conto che il percorso non era soltanto possibile ma, addirittura, obbligato. Ora di fronte al ritorno alla normalità, speriamo veloce, la scommessa è riuscire a mantenere questa capacità di resilienza e produttività.

È fondamentale per il Paese perché abbiamo tutti toccato con mano quanto sia imprevedibile e radicale la mutazione del contesto. L’investimento che è stato fatto in questo anno e mezzo, sia in termini economici sia culturali e organizzativi va razionalizzato e fatto diventare un fattore sistemico. La competitività del sistema e del Paese dipende, anche, da queste capacità. L’attenzione al cloud è il primo impatto che come operatori abbiamo visto sul mercato in modo, possiamo dire, generalizzato”.

Questo scatto c’è stato solo in ambito pubblico? Sono state infrante barriere anche tra le imprese?

“Il processo logico è stato lo stesso. Un’impresa aveva un modello di business o, meglio, organizzativo che dava per scontata la compresenza delle persone.

All’improvviso, si è trovata nell’esigenza di assicurare la continuità operativa senza la possibilità di avere le persone vicine; ha dovuto trovare una strada per arrivare al cliente diversa da quella consolidata, per esempio attraverso il commercio elettronico, il delivery ecc. Sono tutti modelli che hanno avuto la stessa radice. È stato un fenomeno generale. Anche le imprese di tipo culturale si sono trovate nella necessità di ricorrere a modalità on line per eventi che avevano modelli di incontro molto tradizionali, come le conferenze, le mostre, i laboratori. La soluzione, in sostanza, è passata dalla virtualizzazione e dall’uso marcato dell’ormai grande varietà di servizi cloud, in termini infrastrutturali.

Il canale digitale ha sostituito quello fisico. Certamente la PA è il settore nel quale questo passaggio è stato macroscopico. Ma la realtà è che questo è avvenuto in tutti i settori”.

Purtroppo non tutti i settori, se pensiamo alla nostra economia, sono riusciti a trovare lo stesso tipo di successo nelle soluzioni alternative. È vero che tanti hanno sperimentato su una scala più ampia soluzioni che prima erano riservate a nicchie, ma non tutti hanno trovato un nuovo equilibrio. Guardando la domanda ha trovato naturale e immediato questo cambiamento?

“Naturale, probabilmente no. Immediato, dati i tempi di reazione, sì. Il bello e il brutto della cultura italiana consistono proprio in questa capacità di reazione che scatta, però, solo quando le situazioni sono estreme.

Non c’è una cultura della pianificazione, una visione comune delle cose che si condivide e serve a programmare il cambiamento.

Invece c’è questa capacità inventiva, reattiva, e nella nostra società è successo esattamente questo. Facciamo un esempio, per anni si è parlato dei vantaggi della virtualizzazione dei desktop. Per anni abbiamo trovato tante sperimentazioni, tante isole, solo adesso possiamo dire che il VDI è la soluzione che ha salvato la produttività di settori come la PA. La reazione è stata immediata, certo non era stata programmata, ma in un’ultima analisi, è stata uno shock positivo. Ora si sono superate molte perplessità e sono state colmate diverse mancanze di conoscenza. In tanti ambienti si sono recuperati ritardi decennali”.

Su quali aspetti Red Hat si è trovata più coinvolta?

“Nel momento dell’emergenza iniziale onestamente Red Hat, per la natura dei propri servizi, non si è trovata in prima fila. I problemi inizialmente sono stati più elementari come comprare laptop o migliorare i servizi di rete. Red Hat è stata sollecitata quando è stato il momento di sostenere le fasi di switch off sul digitale, o potenziarlo laddove i servizi già esistevano.

Ci sono state delle problematiche di scalabilità dei servizi che, in alcuni casi, sono state drammatiche.

Devo dire che, laddove erano già state dislocate tecnologie come le nostre, il processo è stato più rapido e meno complicato. Per esempio, in ambito sanitario, con i servizi a supporto della somministrazione dei tamponi, l’analisi dei dati e in seguito i vaccini. In una serie di realtà dove alla base c’erano le soluzioni Red Hat hanno dimostrato che la scalabilità è stata più semplice dei contesti tradizionali. Per esempio è stato dimostrato quanto il successo delle campagne vaccinali sia dipeso dalla capacità di efficientare e sostenere il carico dei servizi informatici. Lo stesso si può dire per Poste, sui vaccini, o per determinate azioni che hanno dovuto sostenere in tempi brevi grandi carichi di servizio come per il reddito di cittadinanza. Ora continuiamo ad essere sollecitati dal mercato perché chi era già in una dimensione cloud ora sta consolidando o ampliando i propri servizi. Allo stesso tempo chi deve ancora compiere questo percorso ha urgenza di compiere il salto. Abbiamo una serie di amministrazioni in questa condizione e siamo visti come un punto di riferimento. Ci sono una serie di motivi per cui siamo considerati in questo modo a partire sicuramente dall’open source, con il quale siamo quasi identificati. Si tratta quindi di una fase nella quale c’è grande attenzione alle nostre proposte e grande urgenza da parte del mercato”.

D’altra parte, il PNRR, mette nero su bianco l’importanza delle infrastrutture digitali e il passaggio al Cloud. Come quali opportunità e quali responsabilità offre tutto questo?

“Sicuramente sono state destinate risorse molto significative e sono stati individuati progetti che sono anche ben definiti a livello di percorso. Il concetto di Cloud è già stato declinato con criteri molto precisi. C’è un contesto multi cloud dove c’è sicuramente l’hyperscaler per assolvere a determinati carichi, ma ci sono altri attori e altri contesti cloud, per esempio quelli verticali e settoriali, o cloud privati che devono comunque collaborare in un contesto articolato.

Il concetto di multi cloud ora è raccontato in termini molto precisi e chiari per la PA. Siamo oltre la polemica sulla possibilità di portare i dati nel cloud”.

In questo scenario è possibile pensare allo sviluppo di servizi pubblici pensati su un reale ed efficace modello di interoperabilità?

“Credo che questa sia da considerare ancora un’area di miglioramento. Nel senso che sul piano infrastrutturale il percorso è abbastanza chiaro. Sul piano dei servizi, nella realtà ci si scontra spesso con alcune difficoltà; a partire da eredità legacy molto importanti che le amministrazioni si portano dietro. C’è una grande necessità di standardizzare e anche di definire le modalità di colloquio. Ora la PA deve vincere la sfida di superare i monoliti informativi su cui sono stati costruiti i suoi sistemi informativi. Poi, come sta succedendo in tanti altri contesti produttivi, per lo sviluppo di nuovi servizi vedremo il vantaggio di cominciare a ragionare con la logica delle API economy: cercare di condividere il più possibile, mantenendo il controllo, con protocolli di comunicazione e dei modelli di sviluppo innovativi.

Sui nuovi servizi della PA questo obiettivo è raggiungibile ma, per quello che è già stato fatto, il peso delle soluzioni legacy richiederebbe scelte radicali, più difficili da affrontare.

Sicuramente, più la logica applicativa si sposta sulla logica del microservizio e sulla comunicazione tramite API, più semplice sarà assemblare e rilasciare nuovi servizi.

Chi è riuscito a reagire velocemente durante l’emergenza e a rispondere agli stimoli di mercato si basa su questi criteri.

I nuovi servizi hanno bisogno di logiche agili, facilmente evolvibili e mantenibili, sono estremamente standardizzati, costruiti su moduli applicativi, grazie ai quali è semplice scambiarsi informazioni e quindi abilitare una reale interoperabilità. Più i sistemi sono integrati e stratificati, più la collaborazione diventa difficile”.

Da cittadino e esperto di tecnologia, quali sono le sue priorità digitali per il Paese?

“La giustizia è una priorità, dalla sua efficacia dipende sicuramente il buon esito del PNRR. Non è forse una priorità sul piano tecnologico, ma lo è sul piano nazionale e politico.

L’ambito della giustizia è quello che occorre assolutamente indirizzare su un nuovo binario e il fattore abilitativo tecnologico-digitale deve essere sfruttato. Mi rendo conto che è anche quello più complesso e problematico per organizzazione e storia.

Per i servizi a supporto della fiscalità e, più in generale, quelli legati al comparto economico della Pubblica Amministrazione mi sembra che lo stadio sia più avanzato. Il livello raggiunto dai servizi on line che il fisco offre è evoluto. Ma è chiaro che il driver economico è sempre rilevante.

Sul piano della sicurezza nazionale il discorso è più articolato; si tratta ovviamente di un settore strategico, ma la relazione tra missione e architettura informatica, nel senso in cui ne parliamo per gli altri settori della pubblica amministrazione, è meno integrato. Sicuramente in ambito difesa c’è un utilizzo intenso di tecnologia, ma è un utilizzo del tutto specifico. Probabilmente molto più orientato alla gestione delle attività sul campo che non alla gestione dei processi organizzativi. Un discorso a parte, già avviato, merita la sanità. Qui a mio avviso c’è un aspetto critico. L’organizzazione territoriale sinora ha reso generalmente più difficile riuscire a fare sistema. Ma la sanità è un capitolo sicuramente importante. Lo sviluppo di servizi di prossimità efficaci, efficienti, accessibili sarà una sfida importante che, però, definirà anche la capacità futura di resistere situazioni come quelle che abbiamo affrontato.

Infine, non vorrei dimenticare il capitolo della formazione e della ricerca che è stato sollecitato, si è mosso, ma sicuramente dovrà evolvere ancora. A parte le grandi sfide affrontate dalla scuola abbiamo visto quanto sia importante avere un sistema di ricerca evoluto. Per fare questo passaggio concreto e diffuso al cloud nella PA noi di Red Hat abbiamo le tecnologie abilitanti”.
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Simone Puksic

Head of Sales Solution Specialist Red Hat

Proviamo ora a vedere, insieme alle opportunità, quali sfide pone il PNRR alle Pubbliche Amministrazioni e di conseguenza ai suoi partner abilitatori. Specie sul territorio
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“Sono in Red Hat da circa un anno e mezzo, sono entrato durante l’acquisizione da parte di Ibm per curare gli aspetti relazionali di go to market. Da settembre coordino anche il nostro gruppo di solution specialist, figure che possono essere viste come un misto tra un architetto di fascia alta e un advisor per il cliente.

Questi specialisti si occupano prevalentemente di mercato enterprise e costruiscono gli sviluppi progettuali con il cliente che il resto dell’organizzazione realizza.

Ma prima di questa esperienza ho lavorato per diversi anni direttamente per la pubblica amministrazione.

Ho iniziato circa dieci anni fa per un’agenzia pubblica chiamata a sviluppare il distretto industriale cui fanno riferimento tutte le imprese ICT del Friuli Venezia Giulia, in seguito ho avuto il privilegio di guidare per circa cinque anni la Inhouse regionale Insiel che si occupa dell’intero perimetro IT in Friuli Venezia Giulia, per poi entrare in Red Hat”.

Sulla base di questo bagaglio, che idea si è fatto di quanto invece sta avvenendo in termini di trasformazione digitale dei servizi sul territorio?

“La Pubblica Amministrazione ha avviato un percorso di innovazione attraverso il digitale che ormai conta almeno 25 anni. Sui risultati ci sono luci ed ombre, ma sicuramente la pandemia ha riportato al centro dell’attenzione dello Stato e delle Regioni questo tema. L’utilizzo di strumenti digitali per arrivare al cittadino è sentito come una priorità.

Certo, anche questa volta potremmo citare soluzioni che hanno avuto successo come l’app IO e altre che invece hanno raccolto meno successo come Immuni ma, nel complesso, la proposta è molto dinamica e vedremo diverse iniziative avere successo”.

Il PNRR mette a disposizione del mercato e della Pubblica Amministrazione una dotazione di risorse straordinaria. Quale componente istituzionale dovrà maggiormente assorbire questo compito e assicurare il successo delle misure?

“Credo che sarà proprio la parte più vicina al territorio, quella delle Regioni. Questo è un bene, da una parte, perché è l’ambito della PA che funziona da front end rispetto al cittadino ma, dall’altra, si rischia un andamento frammentario come abbiamo visto per certi aspetti anche durante la pandemia. Negli anni diverse amministrazioni politiche hanno cercato di accorpare e di dare un’architettura unica ai servizi all’interno della dimensione regionale. Non è stato un grande successo a mio avviso se non negli ultimi anni, quando la Conferenza stato-regioni, si è dotata di un organismo tecnico, il Tavolo permanente per l’innovazione, che è riuscito a diventare un contraltare tecnico di riferimento per lo Stato e le sue Agenzie”.

Quale crede che siano gli aspetti più critici per la gestione di questo scenario?

“L’aspetto forse più critico di questa situazione credo sia legato alle competenze. In Italia la Pubblica Amministrazione rappresenta la più grande azienda del Paese, con tre milioni di occupati. Queste risorse hanno un’età media elevata. Sicuramente gli skill sulla digitalizzazione non sono adeguati. Sarà molto importante che i fondi del PNRR, che saranno un acceleratore per i grandi progetti in molti casi avviati negli anni passati, vengano accompagnati da un piano adeguato e pervasivo di formazione che porti le persone ad avere un approccio al cambiamento digitale più consapevole e convinto.

C’è anche un altro aspetto che deve essere sottolineato. Credo che occorra stimolare un nuovo modello di collaborazione tra PA e aziende tecnologiche. Dove questo funziona, e penso a regioni come l’Emilia Romagna, questo approccio ha spesso sopperito proprio alla mancanza di competenze anche legato al fatto che la PA vive in un quadro regolatorio molto articolato. In questo senso la collaborazione pubblico-privato è stata un vero driver di crescita. Red Hat è la prima multinazionale nella quale lavoro. Ho scelto di lavorare qui sia perché credo in questa filosofia legata alle opportunità del mondo open source, sia perché trovavo affascinante il modello di governance dell’azienda che è molto distribuito e ha mutuato dalla cultura open source una serie di concetti importanti nel modello di gestione delle persone e delle relazioni.

Per progetti di questo genere, forse il classico rapporto di fornitura, da bando di gara, diventa un po’ stretto. Servono modalità più vicine al partenariato pubblico-privato?

“Mi verrebbe da dire che tutti i progetti su cui noi lavoriamo in questo momento con la PA, hanno caratteristiche che si avvicinano a questo modello. Lavoriamo con Enti e Amministrazioni di grandi dimensioni e con servizi molto complessi. Quasi tutti i progetti in cui siamo coinvolti richiedono innovazioni dei processi, un cambiamento nella modalità di lavorare e in alcuni casi potremmo dire anche di cambiamento del ‘modello di business’ pubblico.

Alla base c’è una forte necessità di riuscire a dare servizi in modo migliore, con più velocità e in sicurezza. Il cliente di fronte a queste necessità ci vede come consulenti.

Per questo, per esempio, abbiamo messo a disposizione dei clienti, sia del settore privato sia di quello pubblico, dei laboratori full immersion, denominati Open Innovation Labs, in cui il personale dei clienti è affiancato da esperti Red Hat per permettere di trasformare le idee e le opportunità in risultati aziendali. Si tratta di attività di consulenza di alto livello che portano il cliente all’interno del nostro mondo, ma ci si confronta sugli obiettivi del cliente e non è fondamentale che la soluzione finale venga trovata all’interno del nostro portafoglio.

Un altro importante risultato che mi preme evidenziare è il protocollo di collaborazione che Red Hat ha definito con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui) per fornire tecnologia sia a fini di utilizzo interno sia fini didattici per incrementare quelle competenze digitali così importanti per le organizzazioni che devono innovare”.

Come esperto proveniente dalla PA, quali sono gli aspetti prioritari per la digitalizzazione del Paese?

“Il primo fra tutti è il tema della connettività, poiché troppe aree del nostro Paese non sono ancora connesse in modo adeguato. Troppi comuni non dispongono di collegamenti in fibra, spesso persino quelli in adsl sono limitati. Risolvere questo problema è fondamentale per abilitare il mondo del lavoro, ma anche quello dell’istruzione; servono soluzioni di connettività anche pubbliche che siano efficienti. Sul piano della razionalizzazione è molto opportuno il percorso intrapreso da tempo da Agid e il Dipartimento per l’Innovazione digitale sul tema del Cloud della PA con il consolidamento dei data center e la nascita dei Poli strategici nazionali. L’informatica razionalizzata crea efficienza e permette di scalare più rapidamente i servizi quando serve. Lo abbiamo visto in alcune regioni che hanno portato avanti questo tema. Sono riuscite a gestire meglio temi come la campagna vaccinale perché avevano a disposizione un’infrastruttura digitale che permetteva di scalare rapidamente. Altre invece hanno dovuto acquistare il servizio da provider terzi, in alcuni casi anche pubblici, che hanno un sistema dimensionato in modo corretto per gestire picchi e carichi. La terza componente è legata ai servizi al cittadino. Nell’immaginario collettivo è ormai forte l’idea che ci piacerebbe fare tutto quello che è necessario fare con la PA attraverso lo smartphone, magari vivendo un’esperienza simile a quella che si può vivere sui social network: velocità, semplicità, affidabilità”.

E invece, chiedo anche a lei, guardando ai settori della PA, quali in questo momento avrebbero bisogno di fare lo scatto?

“Partirei dalla sanità. Si tratta di un ambito che ha visto un’innovazione legata al digitale, ma ha ancora margini di miglioramento molto consistenti.

Credo sia necessario fare una considerazione che vale per tutta la pubblica amministrazione. La tecnologia non è un fine, ma un mezzo che deve andare di pari passo con una riscrittura efficace dei processi. Non basta portare su un sistema informatico processi ‘analogici’ o inefficaci per registrare un reale cambiamento. Per quanto questo sia un concetto ormai conosciuto in troppi casi e per troppo tempo nella PA si è fatto così.

L’occasione del PNRR deve anche essere anche un momento di riscrittura completa dei processi e dei procedimenti amministrativi ai fini della loro digitalizzazione.

Credo che questa sia forse l’ultima opportunità che il Paese ha per cambiare anche da questo punto di vista e liberare l’Amministrazione Pubblica dai troppi lacci che la stringono. Tutto il Paese è di fronte ad una sfida veramente complicata, la responsabilità di dover investire tutte queste risorse in poco tempo, curando la riuscita dei progetti è qualcosa che impone un’efficacia e una capacità di realizzazione che richiederà a tutti un cambio di passo straordinario”.


Gianmarco Nebbiai
Cofondatore e Direttore responsabile di Innovazione.PA. Giornalista e Comunicatore d’impresa, scrive di ICT e del suo impatto sulla società e l’economia dal 1995. Segue tutti i temi legati alla trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, all’innovazione dei processi e dei servizi a disposizione dei cittadini, con particolare attenzione all’innovazione sociale e al digital health.

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