Come costruire il modello One Health nel nostro Paese

Il Digital Healh Summit: appuntamento a Milano
28 Settembre 2022 |
A cura di Annamaria Di Ruscio AD Net Consulting Cube, Paolo Macrì CEO Gallery Health e Alberto Ronchi Presidente AISIS

Cos'è il Digital Health Summit

Il Digital Health Summit nasce nel 2018 a Milano dalla esperienza del LifeTech Forum di GGallery (società di comunicazione e formazione nel settore farmaceutico-medicale) e NetConsulting cube (società di analisi di mercato e consulenza nel settore dell’ICT e digitale) e del Convegno Annuale di AISIS (Associazione dei CIO delle aziende sanitarie pubbliche e private).

L’idea fondante è quella di interloquire di tecnologie a supporto dei processi ad un mondo “sanitario” più ampio rispetto a quello tradizionalmente inteso. Un ecosistema fatto (fig. 1) di diversi attori (aziende farmaceutiche, istituzioni pubbliche locali e centrali, nazionali ed europee, aziende sanitarie ed ospedaliere, aziende produttrici di dispositivi medicali, medici di medicina generale) ma soprattutto diversi interlocutori: decisori politici, decisori aziendali e sanitari, Ingegneri clinici, CIO. Per ragionare insieme di impatti e benefici per servizi e processi abilitati dalle soluzioni tecnologiche e digitali, provenienti dal sistema di offerta.
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Il Digital Health Summit definisce annualmente i temi da indirizzare, fare emergere ed analizzare grazie all’interazione con gli attori che lo compongono, che di anno in anno si arricchiscono in numero e tipologia. Uno degli asset primari del Digital Health Summit è rappresentato dal suo Advisory Board. Costituito (fig. 2) oltre che dagli organizzatori, da un nutrito numero di Istituti, Associazioni e Federazioni di Categoria, rappresentative dell’ecosistema visto in precedenza. È con esse che si selezionano le tematiche da affrontare, che fanno sintesi rispetto alle diverse istanze.
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I temi del DHS 2022

Dopo due edizioni completamente in digitale, il Digital Health Summit nel 2022 torna in presenza, nuovamente a Milano, coniugando collegamenti da remoto durante la tre giorni che tradizionalmente lo ha contraddistinto.
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Il tema cardine sarà quello di interrogarsi su quanto siano vicini (o distanti) da un modello di One Health, con pieno raccordo tra tutti i livelli organizzativi, per giunta “digitale”. Su quale sia lo stato di avanzamento e quali le possibili prospettive. A maggior ragione oggi in una situazione di futuri diversi assetti politici. Questo macro-tema verrà articolato in alcuni aspetti:

• Ricerca, resilienza e sostenibilità, elementi cardini degli ultimi due anni, devono permanere. L’innovazione deve essere concretizzata

• Stato di attuazione del PNRR e delle politiche governative che indirizzano la trasformazione digitale del Paese e i processi di investimento

• Stato della revisione della struttura territoriale sanitaria e assistenziale

• Evoluzione organizzativo-funzionale e delle competenze correlate

• Evoluzione digitale delle organizzazioni, interoperabilità dei dati e integrazione funzionale nell’ecosistema life science

• Ruolo dell’Agenzia Nazionale della Cyber-Sicurezza e del Piano per il Cloud Nazionale.

Pertanto, l’impianto su cui di discuterà (fig. 3) sarà il seguente: il raccordo che deve sussistere tra organizzazione, competenze, riforme, resilienza cura e informazione, con il supporto delle tecnologie digitali. E attraverso i fondi e le riforme definite dal PNRR, in una situazione fluida che merita di essere monitorata, compresa e valutata.
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Il sistema Salute in Italia e il PNRR

In questi anni di pandemia, la spesa sanitaria pubblica è cresciuta progressivamente, raggiungendo rispettivamente quota 123 miliardi di Euro (2020) e 128 miliardi di Euro (2021) e segnando un notevole balzo rispetto al valore del 2019 quando la spesa sanitaria nazionale si attestava nell’intorno dei 115 miliardi di Euro. La crescita del 4,2% è stata indirizzata da un lato dal potenziamento dei servizi sanitari e dall’altro dall’attuazione della campagna vaccinale, mentre nello stesso biennio, l’indicatore che misura l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL decresce lievemente (dal 7,4% al 7,2%) per effetto dell’aumento del PIL registrato a fine 2021. Nelle proiezioni, il valore di spesa sanitaria resta nell’intorno dei 130 miliardi di Euro, includendo già quota parte dei fondi PNRR da destinare al Sistema Salute nell’ambito della missione 6. Il trend di spesa è previsto poi in lieve diminuzione tra il 2023 e il 2024 per lo più a causa dei minori oneri di gestione della pandemia e, a fine periodo, si stima una crescita limitata dello 0,7% e un ritorno dell’incidenza sul PIL al 6,1% (previsioni del DEF di aprile). Incide anche il rinnovo dei contratti e delle convenzioni del personale SSN 2022-2024.

Tali valutazioni sono incluse nel DEF di Aprile 2022 e tengono conto già dei possibili impatti sul PIL derivanti dalla crisi bellica. Ripercussioni che andranno a influenzare il valore del PIL e non la spesa sanitaria.

La quota di spesa sanitaria privata è stata nel 2020 di circa 38 miliardi di euro (elaborazioni ANIA su dati OCSE 2021), finanziata per l’89% direttamente dai cittadini e solo per l’8.3% da assicurazioni private. Primi in Europa, con una quota simile a quella sostenuta dai cittadini tedeschi (82.7%) ma sensibilmente più alta rispetto a quella sborsata dai cittadini francesi (56.8%). Una parte di questa spesa potrebbe ridursi attraverso la costruzione di polizze assicurative che prevedano il ricordo alla telemedicina (fonte ANIA). Secondo il Rapporto OSMED pubblicato in estate dalla Agenzia italiana del farmaco (Aifa), la spesa farmaceutica nel 2021 è stata pari a 32,2 miliardi di euro, con una crescita del 3,5% rispetto al 2020, più veloce nella componente privata rispetto a quella pubblica. Con una spesa per assistito di 543,8 euro, per il 69% rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale. La spesa farmaceutica incide per l’1,9% sul Pil.

Come anticipato, nelle stime dal 2022, sono stati inclusi quota parte dei fondi per l’attuazione del PNRR che, nell’ambito della Missione 6, destina il 9% del totale delle risorse del dispositivo alla materia Salute. Includendo il Fondo Nazionale Complementare e il REACT-EU, le risorse destinate complessivamente alla Sanità ammontano a 20,22 miliardi di Euro: si tratta di fondi che si rendono necessari per indirizzare le importanti riforme che attendono il comparto, e che sono riconducibili ai due ambiti di azione relativi alla Componente 1 – costruzione della medicina territoriale – e alla Componete 2 – Innovazione, Ricerca e Digitalizzazione del SSN.
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A gennaio 2022 si è proceduto con la registrazione del Decreto Ministeriale con cui vengono ripartiti i primi 8 miliardi di euro tra le regioni: oltre il 60% è destinato ad attività di costruzione e messa in sicurezza di ospedali e nuove strutture preposte al rafforzamento dell’assistenza territoriale, mentre la restante parte è categorizzabile nella voce “digitalizzazione”, che include:

• oltre 2,6 miliardi di euro per l’ammodernamento tecnologico e digitale ospedaliero (sostituzione di 3.100 grandi apparecchiature sanitarie);

• 204,5 milioni di euro per rafforzare l’assistenza domiciliare e la telemedicina attraverso interventi per la casa come primo luogo di cura;

• 110 milioni di euro imputabili ad “altri investimenti” e relativi a fondi per l’infrastruttura tecnologica, l’analisi dati, la vigilanza sui livelli essenziali di assistenza e lo sviluppo delle competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario.
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La prima deadline per l’ottenimento dei fondi del PNRR è stata il 30 Giugno. Nella figura 7 si tiene traccia degli avvenimenti più recenti che delineano un periodo molto dinamico, con diverse attività istituzionali che si sono susseguite e che hanno visto la pubblicazione del documento che individua i punti di contatto tra i due progetti cardine del PNRR relativi a Telemedicina e FSE, la legge di riordino degli IRCSS, la pubblicazione in Gazzetta delle linee guida per attivare le prestazioni di telemedicina, la firma dei Contratti Istituzionali di Sviluppo tra le Regioni e il Ministero della Salute, relativamente ai dettagli degli interventi di cui saranno oggetto i primi stanziamenti dei fondi relativi a Componente 1 e 2.
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Il 6 Giugno si è chiuso il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse delle proposte di Partenariato Pubblico Privato per la piattaforma nazionale della telemedicina, mentre al 22 Giugno risale la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del DM71, vale a dire il "Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale" (decreto 23 maggio 2022, n. 77), che dà attuazione alla riorganizzazione delle cure fuori dall'ospedale prevista dal PNRR, il cui testo è entrato in vigore la prima settimana di Luglio.
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Alla luce di tutto questo, è evidente come il settore Sanitario in Italia si appresti a vivere un periodo di inedita progettualità che si concentra, soprattutto, su Fascicolo Sanitario Elettronico, Telemedicina e Cloud Computing, e in questo scenario la Cybersecurity assumerà un’importanza cruciale.

Andando in ordine:

1) Implementazione del nuovo Fascicolo Sanitario Elettronico in tutte le regioni in qualità di sistema nazionale di aggregazione dei dati di tutte le interazioni medico-paziente, e che soprattutto vada verso la concezione di ecosistema di dati e servizi sanitari per cittadini, operatori sanitari ed enti pubblici e di ricerca. La situazione di partenza mostra elevata eterogeneità tra le Regioni, ma anche disomogeneità nell’offerta di contenuti, a livello informatico e di processo. Per omogeneizzare e porre le basi del FSE 2.0 sono state pubblicate le linee guida con le indicazioni tecniche in relazione ai servizi, ai contenuti, all’architettura e alla governance. Nel PNRR sono destinati complessivamente 1,3 milioni di euro al FSE, per la creazione dell’infrastruttura sul territorio nazionale;

2) Costruzione di una rete di Telemedicina che partendo da una piattaforma nazionale dovrebbe penetrare in tutti i territori e costituire lo struttura d’appoggio di una nuova medicina di base e di comunità. A questo specifico ambito, il PNRR destina 1 miliardo di euro, utili per l’organizzazione dei servizi assistenziali sul territorio nell’ambito del distretto, con diversi livelli di governance per l’erogazione dei servizi: Case e Ospedali di Comunità, Centrali Operative Territoriali, Casa come primo luogo di cura, in uno scenario in cui la telemedicina diviene leva abilitatrice della continuità assistenziale.

Per quanto riguarda i servizi di telemedicina attuabili presso le regioni e PP.AA., ai fini della redazione del documento di indirizzo dell’investimento per la predisposizione dei progetti sui “servizi di telemedicina” finanziabili, i bisogni di salute individuati fanno riferimento ai seguenti ambiti specialistici:

a. telemonitoraggio e telecontrollo del paziente con patologie cardiologiche, respiratorie e diabete, neurologico, oncologico;

b. televisita, teleconsulto, teleassistenza.

Per ogni ambito clinico e di specialità, le componenti di indirizzo sono relative a:

• problemi di salute

• carichi della malattia

• finalità delle prestazioni e benefici attesi

• parametri da monitorare/controllare

• professionisti e branche specialistiche coinvolte.

3) Passaggio al Cloud Computing in maniera diffusa, superando la miriade di CED di Aziende Sanitarie e Ospedaliere (secondo le rilevazioni Agid ci sono in media due DC per ogni ente) ostacolo alla diffusione dell’E-health a livello nazionale.

Queste progettualità stanno accelerando la trasformazione digitale della sanità italiana, anche se i pilastri sui cui si fondano sono gli stessi di cui si parla, e su cui si lavora, da diversi anni.

La Cartella Clinica Elettronica, indispensabile prerequisito per realizzare il Fascicolo Sanitario Elettronico, è presente ormai in moltissime aziende sanitarie, ma solo poche di esse l’hanno diffusa e applicata in tutti i reparti e per tutti i processi dei singoli reparti. C’è ancora molta strada da fare e lo stimolo del nuovo Fascicolo Sanitario Elettronico nazionale sarà utilissimo nel rendere pervasiva l’applicazione e l’uso della Cartella Clinica Elettronica. Stimolo fondamentale anche per la creazione di un modo comune di scambiare i dati clinici e sanitari, grazie alla futura interoperabilità di tutte le aziende sanitarie con l’FSE nazionale e, di conseguenza, con gli FSE regionali.

Per quanto attiene i progetti di Telemedicina, si inquadrano tutti come tasselli fondamentali della nuova organizzazione della sanità territoriale.

Nella figura sottoriportata (tratta da Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, www.agenas.gov.it), è rappresentato il modello di sanità territoriale proposto per un distretto tipo, evidenziando tutte le componenti necessarie all’assistenza territoriale (per un modello che copra l’intero sistema sanitario si potrebbero aggiungere la gestione dell’emergenza e le aziende ospedaliere di alta specialità).
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La telemedicina è una parte importante di questo nuovo modello: è una delle modalità per erogare prestazioni sanitarie tra le più avanzate tecnologicamente e si affianca ad altre modalità più classiche, come la visita in presenza, e a modalità più innovative e quasi in modalità self service, come le App o i dispositivi indossabili. Entra quindi a buon diritto nell’arsenale a disposizione di tutti gli attori previsti dalla nuova organizzazione: Medici di Medicina Generale (MMG), Case della Salute, Aziende Ospedaliere, eccetera. Va però tenuto presente che non tutti gli atti medici che si possono svolgere in presenza si possono anche svolgere a distanza; ad esempio, le prime visite, con la necessità di un’anamnesi approfondita, la prescrizione del percorso di accertamenti e la (ipotetica) diagnosi, vanno ancora svolte in presenza. Quindi la telemedicina, pur nella sua importanza, è solo una parte del modello, una delle tante modalità che abbiamo a disposizione per l’erogazione delle prestazioni sanitarie.

Dal punto di vista organizzativo qualunque modello di sanità (territoriale e non) si può pensare come una collezione di percorsi dei pazienti. Ogni paziente contatterà il servizio sanitario in situazioni diverse: una visita, presumibilmente dal suo MMG, una situazione di emergenza, presso un Pronto Soccorso, e così via; proseguirà con gli opportuni accertamenti diagnostici, ricoveri ospedalieri, riabilitazioni, e quanto necessario alla cura della patologia accertata. Si viene allora a delineare un flusso del paziente influenzato dalle sue interazioni con i vari attori del modello e dalle indicazioni che gli vengono fornite per proseguire questo suo percorso attraversando il modello stesso.

È questa una situazione ben nota nella gestione dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), che sono definibili come “una sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni erogate a livello territoriale e/o ambulatoriale e/o di ricovero, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e operatori, oltre al paziente stesso, in tempi e luoghi diversi” (definizione contenuta in un lavoro pubblicato nel 2014 da FIASO, Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere: “Il supporto dell’ICT ai Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali”, scaricabile dal sito di FIASO). La differenza chiave tra un PDTA e un percorso del paziente genericamente inteso è che il PDTA ha una sequenza predeterminata, che fa seguito ad una diagnosi precisa e che è frutto di studi e di valutazioni cliniche. È però possibile applicare lo stesso concetto di percorso del paziente alle situazioni che si verificano comunemente, come, ad esempio, il caso di un paziente che inizia con una prima visita, poi degli approfondimenti diagnostici, delle visite di controllo e così via, seguendo appunto un percorso, più o meno rigido a seconda della corretta individuazione di una diagnosi e di conseguenza di una serie di accertamenti e interventi volti alla cura della patologia riscontrata. Dal punto di vista informatico dobbiamo gestire il flusso del paziente lungo questi percorsi di qualunque natura essi siano: sia quando sono altamente strutturati, come nel caso dei PDTA, sia quando sono più liberi e flessibili perché costruiti in itinere, in funzione degli esiti dei vari controlli e accertamenti a cui il paziente è sottoposto.

Dal punto di vista tecnico questa nuova organizzazione ha la necessità di una struttura informatica di supporto che, oltre alle normali caratteristiche di facilità d’uso, affidabilità, sicurezza, ecc., deve permettere il facile accesso alle informazioni prodotte dai diversi attori, integrando i vari sistemi, App e dispositivi che potranno essere usati nella pratica clinica giornaliera. Ricordiamo che le linee guida di Agenas dicono chiaramente che le soluzioni informatiche adottate devono essere integrate ed integrabili con i sistemi esistenti e, in particolare, con i Fascicoli Sanitari Elettronici regionali, con l’NSIS e con altri sistemi di pubblica utilità, come, ad esempio, il sistema PagoPA.

Un'architettura applicativa per gestire correttamente questo tipo di modello può essere mutuata da quella generale per la gestione dei PDTA (e più in generale per la gestione di tutti i clinical pathways), già proposta da AISIS (Associazione Italiana Sistemi Informativi in Sanità, www.aisis.it) e descritta in un quaderno pubblicato nel 2015 (Innovazione Digitale a supporto dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali).

La caratteristica chiave di questa architettura è quella di essere composta da sistemi eterogenei, che hanno scopi diversi e sono installati e usati in luoghi diversi, e che vengono coordinati e orchestrati da un sovra sistema che gestisce il flusso del paziente e la comunicazione e lo scambio di dati tra tutti questi sistemi.

Uno schema di riferimento per questa architettura potrebbe essere quello sotto riportatato (tratto dal quaderno AISIS prima citato), ovviamente con gli opportuni adattamenti.
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Le componenti principali di questa architettura sono la piattaforma di workflow e il motore di integrazione (ESB, Enterprise Service Bus), che permettono il dialogo di tutti i sistemi integrati; tra questi sistemi rivestono sempre maggiore importanza le App e i dispositivi medici (tradizionali e indossabili), e il dialogo tra essi e i sistemi più tradizionali è fondamentale per il ruolo sempre maggiore che avranno App e dispositivi nella sanità del futuro.

La piattaforma di workflow ha il compito di gestire i contatti del paziente con il servizio sanitario, seguendo i flussi esemplificati prima. Deve prevedere una componente di disegno dei flussi e una componente di esecuzione dei flussi stessi, oltre alle componenti di base come l’autenticazione degli operatori, la reportistica e così via. Ma deve anche gestire flussi del paziente che si creano al momento e possono anche essere validi per una sola volta.

Questa piattaforma è l’orchestratore dei flussi dei pazienti e una delle sue caratteristiche principali deve essere la semplicità d’uso, per ridurre i tempi di apprendimento e massimizzare la produttività.

Naturalmente non basta la sola piattaforma di workflow per gestire la complessità del modello: è indispensabile dialogare con una moltitudine di sistemi che vanno dal Fascicolo Sanitario Elettronico Regionale, alla Cartella Clinica Elettronica dei grandi ospedali, ai dispositivi indossabili per il monitoraggio del singolo paziente, e così via.

Per integrare tutti questi sistemi serve allora un motore di integrazione (ESB) che sia basato sugli standard comuni in sanità (HL7 nella versione FHIR), ma che non trascuri la possibilità di dialogare con gli standard attuali dello sviluppo Web, dello sviluppo a container e neppure le particolarità dell’integrazione con dispositivi medici, App, dispositivi IoT e così via. È fondamentale che questa integrazione sia realizzata in entrambe le direzioni, cioè dalle App ai sistemi centrali e dai sistemi centrali alle App, per massimizzare i benefici della condivisione dei dati. Un punto debole dell’attuale ecosistema di App e dispositivi è spesso la mancata integrazione con i sistemi delle aziende ospedaliere o territoriali, o con i sistemi regionali.

Dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica è evidente che la dispersione geografica dei sistemi da collegare e degli utenti dislocati sul territorio e che devono accedere al sistema di gestione del flusso dei pazienti, portano a considerare come preferibile una collocazione del sistema nel cloud (pubblico, privato o ibrido) per poter meglio sfruttare la flessibilità di collegamento e di uso che sono propri di questo tipo di piattaforma.

E questa preminenza del Cloud Computing è uno degli elementi chiave delle progettualità proposte e uno dei fondamenti della strategia complessiva per l’innovazione digitale della PA italiana.

A completamento del panorama tecnologico è fondamentale ripensare tutta la strategia di sicurezza informatica, di CyberSecurity. Sono molteplici i fattori che ci portano a dover gestire un’architettura tecnologica informatica molto più complessa ma quelli più importanti da tenere presente in ottica di sicurezza informatica sono:

• la superficie d’attacco è aumentata e quindi potrà aumentare il numero degli attacchi e la probabilità di un possibile breach; questo aumento è la conseguenza del massiccio uso del Cloud e della diffusione delle applicazioni su un numero accresciuto di device e di sistemi operativi, comprendendo anche tutti i sistemi IoT e di monitoraggio;

• la complessità organizzativa e gestionale sarà superiore a quella attuale e i sistemi saranno più complessi da utilizzare nel rispetto delle linee guida di sicurezza; ci sarà la necessità di formare e informare gli utenti dei sistemi, che potranno realmente utilizzarli in ogni luogo e in ogni momento.
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Il dato in sanità, tra privacy, tecnologia e formazione

La salute e la sanità si basano quindi, sempre di più, sulla creazione e sulla condivisione dei dati. Accanto a quelli che scaturiscono dalle attività cliniche più tradizionali, ci sono quelli generati in maniera continua e imponente tramite dispositivi wearable, quelli raccolti tramite servizi di telemedicina, quelli provenienti da varie realtà regionali, nazionali o europee.

La sanità digitale produce ingenti quantità di dati e al tempo stesso ne viene alimentata. La digitalizzazione, asse portante del PNRR, richiamerà grandi investimenti.

Ma perché sia davvero utile, è necessaria la consapevolezza che la digitalizzazione non è un obiettivo in sé, ma uno strumento, per il più alto fine della cura del cittadino paziente, in termini di tutela della sua salute, ma anche dei suoi diritti e della corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche.

Durante il Digital Health Summit queste tematiche avranno voce in diversi talk dedicati alla interoperabilità, alla privacy, alla sicurezza e al cloud.

La fase pandemica ha messo di fronte agli occhi di tutti la necessità di condividere dati corretti e completi sul paziente e di poter utilizzare soluzioni tecnologiche per un migliore servizio.

A partire dalla ricetta dematerializzata per arrivare alla raccolta dei dati per ricerca e programmazione sanitaria, sono state molte le sfide in cui l’informatizzazione ha aiutato il sistema salute. Tuttavia, informatizzare non vuol dire digitalizzare in maniera strutturata e utile.

Molto è ancora da fare, in un ambito reso complesso dal continuo intrecciarsi di soluzioni tecnologiche, processi organizzativi e requisiti normativi, in particolare in merito alla protezione dei dati personali.

La famigerata “privacy” è davvero quell’ostacolo burocratico che sembra tarpare le ali a ogni progettualità e rendere solo più complessa la vita di professionisti sanitari e pazienti? La tecnologia, in un momento in cui la cybersecurity è tema caldissimo, dà soluzioni adeguate alla protezione e la sicurezza dei dati? Come possono professionisti sanitari e cittadini essere coinvolti in modo virtuoso nell’evoluzione efficiente del sistema?

Il paradosso del “dato” sta nella sua importanza: essendo una risorsa preziosa è fondamentale sia che possa essere accessibile e possa circolare, sia che sia protetto e tutelato.

Il difficile equilibrio è ben presente fin dal titolo esteso del GDPR che fa riferimento infatti “alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”.

Il punto centrale è proprio questo: la privacy non è e non deve essere vista come un ostacolo burocratico fine a sé stesso, ma come un alleato alla buona digitalizzazione.

Il dato rappresenta solo il primo passo: dalla sua contestualizzazione si ricavano le informazioni che a loro volta devono essere analizzate per arrivare alle evidenze. Perché la catena sia salda, è necessario che la partenza sia corretta e in questo la normativa non è affatto un impedimento bensì un guardiano che controlla e tutela il valore del dato, che è tanto più alto quanto più riesce ad essere utile per il singolo e per tutto il sistema.

Le grandi questioni del consenso, della finalità del trattamento, della data ownership sono sempre più cruciali in un panorama in cui la disponibilità dei big data, elaborati dall’intelligenza artificiale, rende possibili scenari di predictive analytics che possono essere utili in applicazioni che vanno dalla programmazione sanitaria, a vantaggio della comunità, alla ricerca scientifica e farmaceutica, anche nei suoi risvolti più innovativi di medicina personalizzata.

Per questo settore è necessario poter avere accesso a grandi quantità di dati riguardanti anche le abitudini di vita, l’ambiente in cui il soggetto interagisce, le sue informazioni genetiche, in un orizzonte temporale possibilmente ampio. Uno scenario che offre nuove sfide alla normativa, che privilegia i concetti di minimizzazione della raccolta, di anonimizzazione, di consensi con perimetri ridotti e ben definiti.

Oggi abbiamo gli strumenti tecnologici che permettono di analizzare grandi quantità di dati dal passato e dal presente per proiettarli nel futuro: la sfida per la privacy è quella di affiancarsi a questi processi per renderli possibili ma in modo controllato, in un mondo in cui gli usuali paradigmi dei trial clinici sono sempre più affiancati dai modelli di ricerca basati su big data e real world evidence.

Questo permetterebbe un approccio di analisi non più limitato al successo della singola prestazione o a un orizzonte temporale limitato, ma a ragionamenti in termini di costi/efficacia complessivi e con una prospettiva più ampia.
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Le competenze: formazione e confronto

Se la raccolta e l’elaborazione del dato dal punto di vista tecnologico è una questione relativamente semplice, più delicata è la costruzione di processi che rispettino i diritti di tutti: l’informazione corretta al paziente che lo renda consapevole delle sue scelte, la formazione del professionista sanitario che lo sensibilizzi ad un approccio corretto al dato e al suo utilizzo, il coinvolgimento delle autorità di controllo sulle esigenze del mondo salute, per fornire pareri tempestivi e linee guida chiare.

In questo, il Garante si è già dimostrato sensibile alle esigenze del settore. Nel caso già ricordato della ricetta dematerializzata, in tempo di pandemia ha fornito pareri in pochissimi giorni; dal punto di vista della disponibilità alla collaborazione con i player del settore, molto spesso le sue decisioni sono scaturite da quesiti posti direttamente dagli operatori. Inoltre, la semplificazione è tenuta nel dovuto conto, non appena sia possibile: si può ricordare, per esempio, che già dal 2020 non è più necessario il consenso per l’utilizzo dei dati per finalità di cura. Eppure, alcune strutture continuano a chiederlo, dimostrando una scarsa conoscenza della normativa e una scarsa propensione all’aggiornamento delle procedure.

Esiste un altro grande tema: quello della formazione, dell’informazione e della sensibilizzazione di tutti i soggetti dal panorama salute.

La tecnologia, la normativa, gli investimenti contribuiscono alla corretta gestione della digitalizzazione e del dato che la alimenta. Tuttavia, l’infrastruttura crolla se non poggia su una base di comportamenti e processi, competenze e sensibilità, a tutti i livelli.

Il cittadino è il proprietario del dato e, quando ne autorizza il trattamento, deve essere in grado di comprendere il perimetro del consenso e le sue finalità. In possesso delle corrette informazioni potrà decidere consapevolmente di mettere a disposizione i suoi dati per contribuire al processo di ricerca, al riparo da timori e sospetti infondati. In un processo virtuoso, un migliore controllo si trasforma in empowerment per il cittadino e in migliori esiti per la scienza.

Tuttavia, è necessario che siano a disposizione informazioni corrette, che possono essere diffuse dai referenti più vicini al paziente sul territorio, come i medici di medicina generale, e da tutti gli specialisti. A loro volta è importante un’attività di sensibilizzazione su queste categorie di professionisti, che dovranno essere sempre più in grado di considerare gli aspetti privacy apprezzandone l’importanza e non solo la nomea di fastidioso adempimento burocratico.

Sarà sempre più necessario che si sviluppi una categoria di professionisti dedicati alle questioni di privacy e cybersecurity, in possesso di conoscenze variegate e multisettoriali, tecniche, normative, relative all’organizzazione sanitaria e alle esigenze della ricerca. Queste figure aiuteranno a gestire, con vantaggio per tutti, le grandi nuove sfide rese possibili dall’avanzamento tecnologico e dal riordino del sistema.

In questo, i dirigenti e i decisori a tutti i livelli devono essere lungimiranti e aperti al dialogo e al confronto in tutte le sedi. Per questo, appuntamenti come il Digital Health Summit sono preziosi per un dibattito produttivo tra tutti i player del settore.

Dal punto di vista organizzativo qualunque modello di sanità (territoriale e non) si può pensare come una collezione di percorsi dei pazienti. Ogni paziente contatterà il servizio sanitario in situazioni diverse: una visita (presumibilmente dal proprio medico), una situazione di emergenza (presso un Pronto Soccorso), e così via… Proseguirà con gli opportuni accertamenti diagnostici, ricoveri ospedalieri, riabilitazioni, e quanto necessario alla cura della patologia accertata.

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