Intervista ad Alfonso Pecoraro Scanio

A colloquio con il Presidente della Fondazione UniVerde.
24 Ottobre 2022 |
Vincenzo Virgilio

La sede della Fondazione UniVerde si trova a Roma, in via Antonio Salandra 6, accanto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Dal suo ufficio al sesto piano, Alfonso Pecoraro Scanio gode di un bellissimo panorama sulla Capitale e di uno sguardo privilegiato su quello che, tra il 2000 e il 2001, fu il suo dicastero: da vicino ne monitora le attività, le decisioni, pronto a criticarne o ad applaudirne i provvedimenti. Lo abbiamo incontrato lì, seduto davanti alla sua scrivania piena di libri, circondato da foto che richiamano le bellezze del nostro Paese, dalle Alpi alla Sicilia. “Un Paese stupendo, da salvaguardare e valorizzare al meglio”, ci ha spiegato analizzando le sfide che l’Italia è chiamata a vincere sul fronte della sostenibilità, del cambiamento climatico, della tutela dell’ambiente. Il tutto, in un presente segnato dalla pandemia, dall’emergenza siccità e dalla guerra in Ucraina, purtroppo ancora in corso.
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Difficile non partire proprio da qui: qual è la sua personale lettura di quanto sta accadendo?

L’aggressione russa all’Ucraina mette in luce in primo luogo un elemento di inadeguatezza della comunità internazionale, a cominciare dalle Nazioni Unite, il soggetto che drammaticamente perde più credibilità da questa vicenda. Le Nazioni Unite nascono infatti con lo stesso Consiglio di Sicurezza – in cui Russia, Cina, Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno il diritto di veto – per prevenire il sorgere di drammi di questo tipo. Al di là del giudizio negativo che non è difficile avere sulla guerra, in cui vi è un aggressore e una nazione aggredita, le premesse di quanto sta accadendo risiedono secondo me in parte nella scarsa attenzione dimostrata dalla comunità internazionale nell’affrontare temi che erano già emersi in Donbass e in Crimea. Detto questo, nessuno si aspettava di trovarsi nel 2022 con una guerra in piena Europa e con una potenza nucleare coinvolta in un conflitto di confine, di espansione: una situazione veramente drammatica.
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In che modo agire ora, a livello internazionale ed europeo, per fermare l’escalation della guerra?

È fondamentale che si sviluppi una forte azione diplomatica da parte delle Nazioni Unite, il cui ruolo al momento sembra sostanzialmente del tutto assente. In secondo luogo, è necessario che anche l’Europa svolga una sua azione diplomatica forte, facendo entrare l’Ucraina a pieno titolo tra i Paesi della UE, cosa che desidera e che ritengo giusta. In questo scenario, diviene essenziale trovare forme per una convivenza pacifica con la Russia, auspicando che si possa raggiungere presto quel clima in cui si fermino le bombe e i cannoni e riprenda con forza il dialogo. Come sottolineato anche da Papa Francesco, l’unica strada da seguire per uscire dalla guerra.
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Tornando in Italia, l’attuale situazione secondo molti mette in luce la necessità di un’indipendenza energetica del nostro Paese.

Il tema dell’indipendenza energetica e della sovranità energetica in Italia non è un tema di oggi: è un tema antico, emerso già negli anni ‘70 con la crisi del petrolio dell’Opec e la dipendenza dell’Europa e dell’occidente dai Paesi arabi e dal Medio Oriente, oltre che da altri fornitori. Una dipendenza che nel tempo è stata sostituita da un’altra dipendenza, quella del gas.

La sovranità energetica deriva dall’autoproduzione dell’energia e dalla riduzione al massimo dell’importazione di materie dall’estero: in questa fase transitoria, la dipendenza dell’Italia nei confronti della Russia si sta spostando però verso altri Paesi, come Algeria, Congo e Qatar, in cui vivono regimi quantomeno autoritari.

 

 
Alfonso Pecoraro Scanio in occasione del Pre-Summit dello United Nations Food Systems Summit 2021

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In che modo raggiungere l’indipendenza energetica dal punto di vista delle energie rinnovabili?

L’indipendenza energetica garantita con le rinnovabili è una priorità assoluta, soprattutto se vogliamo evitare la catastrofe climatica. Non vi è altro tema. Di fronte alla catastrofe della pandemia e del conflitto in cui siamo indirettamente coinvolti, e della crisi economica conseguente, rischiamo di sottovalutare quella che secondo tutti i dati scientifici è una crisi infinitamente più grave: la crisi climatica.

L’emergenza siccità, le immagini del Po completamente in secca addirittura nel mese di maggio e le temperature nella pianura Padana mai registrate finora sono temi che devono prevedere subito la convocazione di un Gabinetto di emergenza per essere affrontati al meglio.

La crisi climatica ha infatti un impatto devastante sul sistema ambientale, economico, sociale e quindi sulla qualità della vita dei cittadini; quando parliamo oggi di indipendenza energetica e di energie rinnovabili non parliamo solo di un aspetto di sovranità nazionale, ma anche e soprattutto di una priorità assoluta per il futuro della specie homo sapiens sul pianeta. In questo scenario, l’Italia ha la fortuna di essere collocata in un’area geografica in cui sole, vento, ma anche geotermia e idroelettrico, che purtroppo risentirà inevitabilmente della crisi climatica, consentono di utilizzare al 100% energie da fonti rinnovabili.
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Sostenibilità ambientale significa anche mobilità sostenibile: come intervenire per renderla sempre più green?

Il nostro Paese ha la possibilità di investire sin da ora sui nuovi carburanti per sostituire l’uso delle fonti fossili. In tal senso, ritengo importante puntare su una mobilità che sia sempre più plurale: la mobilità del futuro non dovrà guardare solo all’elettrico, ma anche all’uso di auto a idrogeno e a carburanti naturali, come l’olio di colza e altre sostanze che già oggi garantiscono capacità di fuel di alcuni aerei. È fondamentale pensare a una strategia integrata per la sostenibilità, la stessa strategia che cercai di indirizzare in Italia in qualità di Ministro dell’ambiente avviando la transizione energetica ed ecologica del Paese tra il 2006 e il 2008. Nel febbraio del 2007 firmai infatti il secondo Conto Energia che fece partire il fotovoltaico in Italia: se in quegli anni la nostra Penisola contava 50 megawatt di energia prodotta da fonte fotovoltaica, oggi siamo arrivati a oltre 23mila megawatt. Prima del 2007, la maggior parte dei cittadini non conosceva il fotovoltaico, oggi il 90% dei cittadini sa cos’è un pannello fotovoltaico e negli anni siamo passati da poche centinaia di impianti solari installati a quasi un milione.

Il 2007 ha segnato l’inizio di una rivoluzione ecologica ed energetica per il nostro Paese, portata avanti dal mio Ministero nonostante l’opposizione di tutte quelle realtà contrarie al fatto che venissero prese risorse dal Cip6: i soldi per le energie rinnovabili prima venivano indirizzati infatti alle fonti assimilate, in particolare agli inceneritori e alle raffinerie di petrolio, che bruciavano rifiuti e catrami. Bruciare rifiuti e catrami era considerato da molti produrre energia rinnovabile: una grande truffa che nel tempo ha spostato miliardi e miliardi di euro verso le lobby di settore. In questo scenario, alla fine dello stesso anno su mia iniziativa venne introdotto l’Ecobonus in finanziaria e l’Italia insieme alla Germania ottenne la prima strategia europea 20-20-20 sulla transizione ecologica.
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E poi?

Poi, come spesso capita nel nostro Paese, abbiamo fatto dei passi indietro. Il governo successivo tentò di realizzare le centrali nucleari e fu bloccato da un referendum, un altro le trivellazioni petrolifere: in quel caso il referendum come sappiamo non raggiunse il quorum, ma vide comunque milioni di cittadini votare contro.

Adesso è arrivato il momento di andare decisamente verso una produzione diffusa di energie rinnovabili, che preveda tra le altre cose anche la costruzione di impianti eolici fluttuanti offshore da posizionarsi a 40/50 km dalle coste. Se realizzati al meglio, gli impianti eolici fluttuanti possono rappresentare anche una garanzia di protezione per il popolamento ittico in zone marine dove la pesca a strascico di alcune grandi multinazionali del pesce negli anni ha devastato i fondali del nostro Mediterraneo.

 

 
Alfonso Pecoraro Scanio all’udienza generale di Papa Francesco con la borraccia e la bandiera di Mediterraneo da Remare, la campagna di attivismo civico a difesa del mare promossa dalla Fondazione UniVerde in collaborazione con Marevivo Onlus e l’adesione del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera

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Parlando di Mediterraneo, recentemente è stata approvata la Legge Salvamare.

La Legge Salvamare rappresenta un segnale di attenzione a un tema che spesso sottovalutiamo, la salvaguardia del nostro Mediterraneo. Un tema che da sempre mi vede sensibile, basti pensare che il primo provvedimento che firmai il 18 maggio del 2006 durante la prima riunione del Consiglio dei Ministri fu la modifica del nome del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio; con un blitz, aggiunsi anche la tutela del mare.

Peccato poi che il nome del Ministero sia stato modificato in Ministero della transizione ecologica: una scelta che ritengo sbagliata; per questo motivo, insieme alla Senatrice Loredana De Petris abbiamo presentato un progetto di legge volto a reintrodurre dalla prossima legislatura il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, cui ora, dopo la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, aggiungerei anche della biodiversità. Dopo questa riforma, avere un Ministero che parli solo di transizione ecologica non credo sia corretto: la transizione ecologica è uno strumento, ma l’obiettivo è tutelare l’ambiente, il territorio, il mare e, appunto, la biodiversità.
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Ha fatto riferimento alla modifica dell’articolo 9 della Costituzione, che ora mette al centro proprio la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali, anche nell’interesse delle future generazioni: che valore assume per il futuro del nostro Paese questa riforma?

La modifica dell’articolo 9 della Costituzione rappresenta una riforma epocale per l’Italia, per la quale ho personalmente lottato sin dagli anni ‘90. I primi 12 articoli della Costituzione, i principi fondamentali della nostra Carta, negli anni non sono mai stati toccati: parliamo quindi di un risultato clamoroso, così come clamorosa ritengo sia stata la modifica dell’articolo 41 della Costituzione secondo cui l’impresa economica adesso è sottoposta anche al vincolo della salute e dell’ambiente. Il tutto avrà un impatto significativo sia sulla legislazione, perché alcune leggi che contrastano con questi principi potranno essere rinviate alla Corte Costituzionale o essere modificate dal legislatore, ma anche sulla giurisprudenza: i magistrati potranno rinviare sempre alla Corte Costituzionale norme palesemente discordanti con questi articoli o applicare direttamente sentenze seguendo i nuovi principi. Grazie alla modifica dell’articolo 9 e dell’articolo 41 della Costituzione divengono inoltre più facilmente impugnabili per la giustizia amministrativa provvedimenti che non tutelino adeguatamente l’ambiente e la biodiversità. E aggiungo un’altra considerazione: se fossero entrate in vigore prima queste riforme, alcuni decreti Ilva approvati nel tempo, facendo prevalere di gran lunga il tema del valore economico rispetto a quello della tutela dell’ambiente e della salute, probabilmente sarebbero stati dichiarati incostituzionali.
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La sostenibilità interroga anche il sistema agroalimentare italiano, uno dei settori che soffre maggiormente in questa fase a causa dell’emergenza siccità e delle difficoltà legate all’attuale periodo storico. Un comparto chiamato, da un lato, a salvaguardare la tradizione italiana, dall’altro a innovarsi cogliendo le opportunità in termini di efficientamento dei processi e riduzione degli sprechi che la tecnologia può garantire: quali devono essere le linee guida di questo percorso di trasformazione del settore agricolo in Italia?

L’agricoltura italiana ha una grande capacità di innovazione e storicamente ha vissuto e si è adattata a un Paese che come sappiamo è costituito da molte aree complesse. Possiamo definirla un’agricoltura eroica: pensiamo alle Cinque Terre, alla Costiera Amalfitana, alla grande tradizione degli uliveti in Puglia. Gli agricoltori italiani da sempre si sono arrampicati in ambienti anche impossibili per costruire possibilità di produzione agricola con una grande capacità di innovazione. Se parliamo di miglioramento genetico naturale delle piante, l’Italia è sempre stata leader in questo campo, così come è stata ed è leader mondiale della meccanizzazione in agricoltura. E la meccanica in agricoltura può considerarsi un’antenata del digitale.

L’Italia vanta una grande eccellenza individuale e aziendale in ambito agricolo, ma purtroppo pone ancora poca attenzione alla comunicazione e alla valorizzazione degli aspetti positivi che la caratterizzano, come la ricchezza della biodiversità presente nella nostra Penisola, la migliore al mondo.

Da Ministro posso dire di aver assistito all’evoluzione dell’agricoltura in Italia e nel 2001 per sostenerla al meglio firmai la prima grande riforma di settore dopo il 1940. Era il 18 maggio del 2001: quel giorno prese forma la Legge di Orientamento che introdusse l’agricoltura multifunzionale nel nostro Paese, la prima vera liberalizzazione dell’agricoltura italiana che affrancò gli agricoltori da quel vincolo che li legava alla terra unicamente come coltivatori che dovevano produrre materie prime per il commercio e l’industria di trasformazione. Fino ad allora, gli agricoltori non potevano realizzare la vendita diretta dei prodotti, in quanto in esclusiva dei commercianti, né attività di ristorazione e ospitalità, perché di competenza del solo settore alberghiero e della ristorazione.

La riforma del 2001 consentì all’impresa agricola di trasformarsi in impresa agricola anche multifunzionale dando la possibilità agli imprenditori di settore di integrare il reddito dell’agricoltura con altre attività, di ristorazione e di ospitalità, ma non solo: pensiamo agli agri-asili, agli agri-ospizi, alle fattorie didattiche, agli itinerari enogastronomici, all’eco sport nelle campagne, alla manutenzione del verde pubblico o delle strade… un pullulare di iniziative che si sono aggiunte pian piano nel tempo determinando un’incredibile novità per la nostra agricoltura, che da allora non ha mai smesso di crescere e innovarsi. I soli mercati degli agricoltori della Coldiretti fatturano oltre 6 miliardi di euro all’anno avvicinando circa 20 milioni di consumatori: solamente questi numeri danno la dimensione di un cambiamento epocale partito proprio nel 2001. In questo percorso di crescita, il digitale oggi ricopre un ruolo rilevante: in Italia ho visto aziende che controllano lo stato di salute della singola pianta grazie a microchip o che monitorano tramite telecamere innovative un allevamento sin dall’origine; una pratica, questa, che se estesa in tutto il Paese potrebbe fornire un importante contributo anche per la tutela del benessere animale.
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In che modo?

Immaginiamo di imporre un meccanismo di autocontrollo tramite telecamere di tutti gli allevamenti in Italia: eviteremmo forse gli allevamenti lager, tema cui sono particolarmente sensibile e per il quale istituì da Ministro dell’ambiente proprio l’ufficio benessere animale affidandone la guida a Gianluca Felicetti, oggi a capo della LAV, la Lega Anti Vivisezione. Non solo. Nel luglio del 1993, da giovane Deputato, la prima legge che feci approvare in Commissione Giustizia alla Camera fu la modifica del Codice Penale sul maltrattamento animale. Fino ad allora, il Codice Penale puniva il maltrattamento animale solo se provocava un fastidio a un essere umano: era visto come un reato di disturbo alla sensibilità della persona, ma non poneva nessuna attenzione alla sofferenza degli animali. L’approccio al tema negli anni è cambiato, ma a mio parere bisognerebbe fare ancora dei passi avanti e in questo percorso il digitale può sicuramente rappresentare un supporto anche sul fronte della tracciabilità dei prodotti. La tracciabilità rappresenta per me un valore assoluto e nel nostro Paese ha preso nettamente il via nel 2000 con lo scandalo della mucca pazza: quell’anno il mio Ministero impose il cosiddetto principio di precauzione, per cui le aziende furono impossibilitate a immettere in commercio prodotti senza la totale certezza della loro innocuità. La sicurezza alimentare divenne da quel momento un elemento chiave, in Italia ma anche in Europa: venne istituita l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare con sede a Parma, e avviammo la riforma del Corpo forestale dello Stato che diede vita alla polizia agroalimentare e ambientale italiana, la stessa polizia che portò alla scoperta della terra dei fuochi in Campania.

Le potenzialità della tracciabilità a garanzia della sicurezza, della sostenibilità e della qualità degli alimenti oggi sono enormi, ma ovviamente molte imprese non la vogliono, in primo luogo le multinazionali del cibo anonimo. Sul tema, con Coldiretti abbiamo avviato un’iniziativa ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) volta a imporre alla Commissione europea il principio della rintracciabilità dell’origine del prodotto From Farm to Fork; la proposta ha raccolto un milione di firme in tutta Europa e credo che questo percorso possa e debba essere portato avanti nel segno di una tracciabilità supportata dalla blockchain anche a tutela del Made in Italy nel mondo. Di rilievo, in tal senso, è la campagna No Fake Food promossa dalla Fondazione UniVerde insieme a Coldiretti, Campagna Amica, Al.ta Cucina, la Federazione Italiana Cuochi e importanti testimonial, come Jimmy Ghione di Striscia la Notizia ed Enrico Derflingher, presidente di Euro-Toques Italia e International. Obiettivo: difendere il Made in Italy creando sempre più consapevolezza sull’identità e sul valore del nostro cibo, che è immenso. E a dirlo sono i numeri.

 

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Quali numeri in particolare?

Nel 2000 da Ministro delle politiche agricole e forestali avviai il censimento dei PAT, i prodotti agroalimentari tradizionali italiani, al cui registro le Regioni possono iscrivere alimenti che hanno caratteristiche peculiari sul territorio: per esempio, un tipo di ciliegio, di nespola, di albicocca, di mela, ma anche una ricetta, un pane, un dolce, una pasta, una soppressata. In poco più di vent’anni, quasi seimila prodotti agroalimentari sono stati iscritti al catalogo dei prodotti tipici italiani tradizionali, a testimonianza di come l’Italia sia il Paese con la maggiore biodiversità agroalimentare al mondo. La grandezza della biodiversità italiana è data da una pluralità di prodotti che raccontano il territorio, legati a un mito, a una storia, a una tradizione, e rappresentano un valore aggiunto anche per il turismo italiano. Uno degli elementi chiave della grande offerta turistica del nostro Paese ritengo infatti che sia costituito dalle migliaia di prodotti agroalimentari che differenziano il nostro territorio. E il digitale, anche su questo fronte, può garantire una possibilità moltiplicativa enorme, sia perché consente con facilità la certificazione degli alimenti, ma anche perché permette a comunità locali molto piccole di comunicare con il resto del mondo, il che per esempio è stato uno dei successi delle Cinque Terre che hanno fatto conoscere il passito Sciacchetrà agli australiani, non solo grazie alle comunità di oriundi italiani presenti nel Paese, ma anche sfruttando le potenzialità del digitale.
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Transizione digitale ma anche ecodigital, concetto al centro dell’omonima campagna da lei promossa: perché transizione ecodigital e cosa significa avviarla in modo concreto nel Paese?

Ritengo sbagliata la separatezza tra le due transizioni, ecologica e digitale. La transizione ecologica deve sfruttare al massimo tutti i benefici della digitalizzazione per certificarne il percorso. L’uso della domotica diffusa, o addirittura obbligatoria, può rappresentare per esempio uno strumento di transizione ecologica: a pensarci bene, oggi saremmo in grado di misurare i consumi energetici dei singoli cittadini in tempo reale, non solo in termini di fatturazione, ma anche per attivare delle notifiche utili a informare l’utente che sta consumando troppo. È un esempio di applicazione, ma le possibilità di utilizzo del digitale in chiave green sono ampie. Dall’altro lato, però, la transizione digitale deve garantire un impatto positivo su quella ecologica, e in quest’ottica diviene fondamentale favorire attività digitali che siano totalmente carbon neutral. Il digitale deve essere ecologico e sostenibile, in tutti gli ambiti: dai motori di ricerca alla blockchain, fino ai social, tramite i quali gli influencer possono diffondere messaggi positivi sull’ambiente invece che messaggi di consumismo sfrenato; anche questo significa essere ecodigital e sono felice che molti giovani abbiano deciso di aderire sin da subito alla mia campagna sostenendola sul territorio e sul web.
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In questo percorso di transizione, quale sarà il suo impegno?

Il mio impegno sarà cercare di rendere concreta questa transizione, costruendo una rete sempre più ampia di attivisti, imprenditori e istituzioni sensibili al tema e pronti a sostenerla. La transizione ecodigital è un passaggio fondamentale per il nostro Paese, da garantire su tutto il territorio in modo uguale: utilizziamo al meglio le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza per fare dell’Italia una nazione che possa godere in modo completo dei vantaggi della modernità in chiave ecologica. Tutti insieme, ne sono convinto, possiamo fare un bel lavoro.

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