La pediatria e le cure per la depressione sono solo due degli ambiti sanitari in cui l’intelligenza artificiale, se utilizzata con cognizione di causa, può essere di grande aiuto. In effetti, la capacità dell’IA di supportare diagnosi precoci, personalizzare i trattamenti, ottimizzare la gestione dei dati clinici e rilevare condizioni psicologiche difficili da intercettare la rende uno strumento dalle grandi potenzialità. Ma l’efficienza tecnologica deve accompagnarsi a rigore etico, alla trasparenza e alla formazione professionale.
A guidare una delle iniziative più promettenti nel panorama europeo è l’Università degli Studi di Messina, con il progetto CADUCEO – Cloud platform for intelligent prevention and diagnosis supported by artificial intelligence solutions. Si tratta di una piattaforma IA in grado di diagnosticare e monitorare le malattie gastroenterologiche pediatriche. L’obiettivo è duplice: da un lato migliorare l’accuratezza diagnostica attraverso l’elaborazione rapida di grandi quantità di dati; dall’altro garantire la protezione della privacy dei pazienti, sfruttando la tecnologia senza compromettere l’umanità della cura. CADUCEO si propone, così, come strumento accessibile a medici, infermieri, pazienti e famiglie, facilitando l’accesso a informazioni aggiornate, percorsi clinici personalizzati e notifiche utili alla prevenzione.
Spostandoci nell’ambito psico-emotivo, vale la pena citare l’algoritmo Talking About, sviluppato da GPI Group e testato in collaborazione con l’Università di Cagliari. L’algoritmo è stato validato su 154 neomamme, rilevando con un’accuratezza del 94% emozioni negative collegate alla depressione post partum.
Attraverso l’analisi delle caratteristiche audio della voce, infatti, l’IA riesce a captare lo stato emotivo dell’intervistata, a prescindere dai contenuti del discorso. Tra i dati più significativi emersi dallo studio c’è il fatto che il 45% delle madri presentava emozioni negative e il 7% mostrava sintomi gravi. E ancora, il livello di istruzione e l’occupazione risultano fattori protettivi, mentre l’allattamento al seno ha confermato un ruolo protettivo rispetto al disagio psicologico.
Due esempi che dimostrano praticamente quanto valido possa essere l’aiuto della tecnologia nelle diagnosi. Ma che non rispondono alla domanda principale che ancora fa storcere il naso a molti quando si parla di questi argomenti: in caso di errore diagnostico la responsabilità legale è del produttore del software o del medico che lo utilizza? Un quesito di non facile risoluzione che invita a non dimenticare mai il ruolo centrale dei professionisti della sanità.
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