Antonello Soro

Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali
1 Marzo 2020 |
Valerio Imperatori

La sede del Garante per la Protezione dei Dati Personali sta proprio di fronte alla Camera dei Deputati, sul lato opposto di piazza di Monte Citorio, a pochi passi da Palazzo Chigi. Luogo strategico tra Parlamento e Governo, tra potere legislativo e quello esecutivo. Qui tra questi palazzi si gioca la difesa, la tutela, il diritto inalienabile alla protezione della nostra identità personale, la sua unicità, anche nella dimensione digitale nella quale siamo proiettati. Paladino di quella che lui stesso definisce “…una sfida che necessariamente dobbiamo vincere per i nostri valori fondanti quali la libertà e la democrazia”, è Antonello Soro da Orgosolo comune della Barbagia di Ollolai, nel Nuorese. Tra quei vicoli famosi per i murales che raccontano la storia di quella comunità tra lotte contadine e banditismo sardo, è iniziata la sua lunga esperienza politica: Sindaco di Nuoro, consigliere regionale della Sardegna e dal 1994 al 2012 deputato e oggi Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali. Ha studiato tanto per diventare medico primario ospedaliero ma poi…
“La mia attività professionale è stata la preparazione a un’altra vita. Col tempo ho avuto la netta percezione che la politica non fosse una parentesi, ma la mia vita. Per trent’anni mi sono occupato dell’origine e della genesi delle leggi e questo mi ha permesso di non sentirmi a disagio in questo ruolo. Sono qui da sei anni e l’aver assimilato la cultura dei diritti e i principi della nostra Costituzione insieme allo studio continuo, maturati nel corso della mia lunga attività parlamentare e politica, si sono rivelate condizioni fondamentali a cui non si può fare a meno se vuoi svolgere un ruolo di garanzia così importante come il mio. Poi ci sono le competenze, anch’esse indispensabili per le quali mi sono avvalso di un ufficio e di una struttura come questa, caratterizzata da professionalità di grande qualità”.

L’8 maggio 1997 entrava in vigore nel nostro Paese la legge sulla tutela dei dati personali. A molti apparve uno dei tanti istituti giuridici lontani dalla nostra vita reale. A poco più di vent’anni, quale bilancio potremmo fare sull’efficacia di questa prima normativa? La sensibilità è cresciuta?

Certamente la sensibilità è maturata. Ma l’evoluzione dell’organizzazione sociale, sospinta anche dall’innovazione tecnologica, è stata così veloce che i livelli di consapevolezza in questo campo devono crescere ancora molto. Direi che questa è la prima frontiera sulla quale è impegnato il Garante e le Autorità di protezione dei dati in Europa, perché in questi anni si è definito meglio il profilo del diritto alla protezione dei dati, autonomo rispetto al diritto alla riservatezza. Possiamo quindi affermare che la cultura si è abbastanza sviluppata. Ma il diritto alla privacy oggi sconta una minore consapevolezza, ancorché crescente, del diritto alla protezione dati personali. Oggi la sfida per rendere consapevoli i cittadini di quanto sia fondamentale proteggere i propri dati, è certamente più impegnativa rispetto a quella della tutela del diritto alla privacy nell’accezione originaria. Direi che i cittadini hanno maggiore attenzione verso la difesa della propria riservatezza un po’ meno della riservatezza degli altri. Nelle contraddizioni del nostro tempo fa capolino la sindrome Nimby, la privacy la si vuole tutelata quando ci riguarda personalmente. Quando riguarda gli altri c’è maggiore attenzione alla curiosità che riguarda la vita del prossimo. La protezione dei dati è un poco oltre queste dinamiche, perché nella società digitale che è poi il contesto in cui viviamo, il dato viene ancora percepito come un’astrazione, come una cifra, come una sequenza di bit. Invece il dato è la proiezione della nostra persona nella nuova dimensione della vita, i dati siamo noi. E quindi quando sulla base di esperienze puntuali si avverte che la mancata protezione di un dato coincide con la vulnerabilità della nostra persona e quindi con il rischio di mettere a repentaglio la nostra integrità digitale ma anche fisica, questa consapevolezza porta necessariamente a livelli di protezione dei propri dati sempre più alti. Occorre fare un grande sforzo perché nella consapevolezza della pubblica opinione e nei soggetti che hanno responsabilità nella protezione dei dati, maturi l’idea che i dati sono la nostra proiezione nella dimensione dove trascorriamo più tempo della nostra vita. La coscienza di ciò deve essere forte nella Pubblica Amministrazione, in coloro che hanno l’onere e l’obbligo di trattare i nostri dati, di farsi carico della nostra persona non soltanto in modo tradizionale amministrando i nostri interessi, ma anche trattando quella parte di noi che viene proiettata nella dimensione digitale.

Lei in una recente intervista ha parlato di “schiavitù volontaria”, quando mettiamo a disposizione, per servizi vari o acquisti in rete i nostri dati.

Lo schema in cui è cresciuta l’economia digitale, oggi la più importante dimensione dell’economia contemporanea, si gioca sull’interesse, sull’attività di raccolta dei dati da parte delle grandi imprese dell’economia digitale. Raccolgono, analizzano, processano e trasformano le nostre informazioni in profili. Attraverso questi possono come prima attività di business offrire messaggi pubblicitari ritagliati sulle caratteristiche e preferenze dei singoli individui. Ma poi si passa alla fase successiva e cioè all’orientamento dei consumi, orientare le scelte dei cittadini, e trasformare quei dati in moderna ricchezza. Non è un caso che le persone più ricche al mondo siano proprio i grandi gestori di questa nuova economia. Questo sistema si regge sulla errata presunzione che la gratuità dei servizi offerti dalle imprese digitali, sia per noi un enorme vantaggio sull’altare del quale sacrifichiamo, anche inconsapevolmente, una parte della nostra identità digitale.

Il processo di trasformazione digitale investe la maggior parte delle relazioni tra le persone e tra queste e le pubbliche amministrazioni e le imprese

Questa considerazione non contraddice la maggior consapevolezza dei cittadini a cui lei ha fatto riferimento?

Deve tenere presente che la velocità con la quale si è affermata questa dimensione nella nostra vita, ci ha reso poco attenti nella gestione e protezione delle informazioni che ci riguardano. Ora è vero che l’attenzione è cresciuta, ma ancora molto, molto dobbiamo fare. La volontà di fruire di servizi sempre più gratificanti, di una quantità enorme di agevolazioni nei rapporti con gli altri, l’accesso alla conoscenza, la partecipazione a nuove forme di socialità, rende meno attenti nella tutela di quelle informazioni che mettiamo in rete. L’idea che la rete sia un enorme piazza pari all’intero pianeta e che quelle informazioni rimangano nella disponibilità della rete e quindi di tutti per un tempo infinito, non limita le attività tipiche via web. Questo avviene anche in soggetti che ben conoscono i rischi che si celano nella rete. Ma si continua a postare immagini di se stessi o quelle dei propri figli. Insomma si continua a pubblicare sui propri account social informazioni personali, riservate, arrivando in alcuni casi a forme, che noi riteniamo estreme, di chi posta immagini della propria vita intima, immagini di atti sessuali consumati con la propria partner, chi attraverso la rete fornisce informazioni che causano effetti devastanti e così via. Tutto accade in questo utilizzo bulimico della rete, della socialità digitale. E questa è solo una parte del problema. Poi esiste un altro versante della questione, con particolare riferimento alla Pubblica Amministrazione e alla sua gigantesca raccolta di informazioni che viene fatta a tutti i livelli territoriali e amministrativi: governo, istituzioni preposti alla gestione dei servizi pubblici. Questi raccolgono le informazioni generali che successivamente divengono fattori di sorveglianza globale quando hanno la finalità della sicurezza. Per cui tra le migliaia di telecamere poste in uffici, strade, piazze, centri storici, in ogni accesso ai pubblici locali, ecc…e la raccolta dei dati relativi ai nostri obblighi fiscali fino alle nostre condizioni previdenziali, insomma l’universo delle prestazioni della PA, passa attraverso l’immissione digitale di informazioni sempre più estese della nostra vita. Si tratta di un necessario adempimento allo scopo di modernizzare e rendere più efficienti i servizi offerti dalla PA. Ma questo obbiettivo esige che chi raccoglie queste informazioni le deve trattare con la consapevolezza di avere nel proprio server non informazioni oscure e incomprensibili ma tutta la nostra vita. Quindi deve avere forte la responsabilità nel difendere e proteggere tali dati e renderli inaccessibili a tutti coloro che non hanno alcun titolo per accedervi.

Dal prossimo 25 maggio entra il scena in tutta l’Unione Europea il GDPR (General Data Protection Regulation). Cosa cambierà?

Come abbiamo detto da oltre vent’anni la nostra Pubblica Amministrazione è impegnata normativamente alla tutela delle informazioni. Ma dal 25 di maggio, con l’introduzione della normativa europea tali dispositivi di legge saranno ancora più stringenti anche se, è bene ricordarlo, i capisaldi per la protezione dei dati è in gran parte già definita dal nostro codice e dalla applicazione direttiva preesistente. Non tutte le Pubbliche Amministrazioni sono state al passo con quegli obblighi: ve ne sono alcune che hanno manifestato grande capacità di sistemi di misure logiche organizzative adeguate a questa necessità e ve ne sono altre che lo sono state di meno. Naturalmente il rischio per le persone, è differenziato a seconda del dato che l’amministrazione tratta. Clamoroso, ma non è l’unico, è il dato sulla salute. Ciò che è contenuto nel nostro fascicolo sanitario elettronico è talmente delicato che una alterazione delle informazioni contenute potrebbe essere anche letale per la nostra persona. Se lei affida al fascicolo sanitario elettronico il suo gruppo sanguigno e per una qualsiasi ragione quel dato anche solo per errore venisse modificato, se lei dovesse aver bisogno di una trasfusione la sua vita sarebbe a rischio. Non stiamo parlando di un rischio astratto, ma di un rischio reale che riguarda la vita fisica. E il passaggio tra fisico a digitale è strettissimo e questo vale per tanti altri settori.
Il tema che si pone è quello di creare una cultura della protezione dei dati, e promuovere la conoscenza delle norme previste dall’Europa. Norme che ribaltano lo schema del vecchio ordinamento che prevedeva che ai titolari del trattamento dei dati venisse affidato il compito di garantire le misure minime di sicurezza, riservando poi a casi speciali le prescrizioni del garante che aggiungevano misure di tutela maggiori. Il principio fondativo del nuovo Regolamento è quello della contability, cioè il titolare del trattamento, l’amministratore del Comune, dell’Asl, il ministro, il presidente dell’Inps o di qualunque altro ufficio pubblico, deve garantire misure adeguate al rischio che quel trattamento dei dati comporta per la libertà e diritti delle persone. Non solo va garantito, ma deve essere in qualunque momento dimostrare che è stato fatto tutto quello che era necessario. Questa nuova disposizione normativa prevede, in caso di inadempienze, anche un sistema di accertamenti, di misure, di obblighi che possono portare a provvedimenti sanzionatori molto severi. Dal 25 maggio il sistema sanzionatorio vale per tutti. Noi confidiamo che il legislatore nazionale, che su questo ha una riserva di legge, voglia confermare quanto già oggi esiste: anche il soggetto pubblico è tenuto a pagare sanzioni come i privati e queste vanno fino a un massimo del 4 per cento del fatturato o a 20 milioni di euro. Quindi la sfida oggi è nella rapida trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione ma parallelamente nel prevedere un enorme investimento nella protezione dei dati. Si tratta di un investimento culturale, economico e di risorse umane. L’investimento in protezione dei dati si rivelerà non più un costo, perché la sicurezza dei dati trattati ha un grande valore non solo democratico e civile ma anche un valore economico. Quindi chiunque abbia questa responsabilità deve sapere che sta maneggiando un bene molto prezioso e che se non fa il suo dovere deve risponderne. Il nuovo regolamento prevede l’obbligo di segnalazione, Data Bridge Notification, di una intervenuta violazione. Questo obbligo nell’attuale disciplina era riservato esclusivamente agli operatori delle telecomunicazioni, mentre dal prossimo maggio riguarderà chiunque. Noi abbiamo un po’ anticipato già questi obblighi per la Pubblica Amministrazione in Italia. Con il nuovo regolamento chiunque abbia notizia di una intervenuta violazione dei dati all’interno della propria attività ha l’obbligo di informare il Garante e di rendere edotti anche gli utenti cittadini che quei dati hanno affidato all’ Amministrazione. Scatteranno poi verifiche e controlli ma a differenza di quelli che oggi già facciamo non saranno più a posteriori, ma preventivi come prevede lo spirito del nuovo Regolamento. Preventiva deve essere la protezione dei dati, bisogna prevenire il rischio per i cittadini.

Fino a che punto è ancora corretto distinguere dati sensibili e quelli ritenuti meno rilevanti?

Ci sono alcuni dati che per la loro natura hanno un impatto e possono recare pregiudizio maggiore. Quello immediatamente più rilevante è relativo allo stato di salute ma altrettanto rilevante ancora oggi è sicuramente il dato giudiziario, così come il complesso dei dati biometrici che col nuovo regolamento entrano dentro la categoria di questi dati particolarmente delicati. Lo stesso considera sensibili anche dati sugli orientamenti politici, sugli orientamenti sessuali, sindacali ecc….. In alcuni dei Paesi dell’Unione, neanche in tutti, sono sempre di più considerati dati di cui non si deve essere particolarmente gelosi perché esiste una condizione di libertà, di maturità culturale che ci rende liberi. Non si può però escludere che ancora oggi la diffusione la divulgazione di quelle informazioni possa recare pregiudizio alle persone e quindi questi dati hanno un tasso di delicatezza maggiore e richiedono un percorso di garanzia ancora più rigoroso. Ma noi dobbiamo sempre pensare in base a dati che trattiamo e al sistema e alle finalità per cui li trattiamo e in quali contesti lo facciamo. I titolari del trattamento dovranno fare una valutazione preliminare d’impatto e misurare il rischio che il loro trattamento può portare. Se uno tratta un dato che non è sensibile, ma lo tratta in un contesto con un sistema di accessi che può produrre rischi per i diritti dei cittadini, dovrà anche in quel caso prendere adeguate misure di tutela. Rimane in piedi anche nel nuovo regolamento una distinzione fra alcuni dati considerati più importanti, però tutti sono importanti perché tutti concorrono a definire, a proiettare nella dimensione digitale pezzi della nostra persona.

Si dice digitale spesso si pensa ancora virtuale?

La dimensione digitale non è un mondo virtuale come ogni tanto si continua a ripetere. Io abolirei questo termine. Lo dico sempre virtuale da l’idea che sia quasi un gioco. No, è una nuova dimensione della vita. Quella digitale è una dimensione come il tempo, lo spazio, dove trascorriamo più tempo che in quella materiale nella quale siamo abituati a vederci e incontrarci. Proteggere le nostre persone non solo nella dimensione materiale ma anche in quella immateriale perché sempre noi siamo in gioco quando diventiamo vulnerabili. Perdere l’identità digitale o alterare i dati che ci riguardano significa mettere in circolazione una seconda identità digitale che ci riguarda, questa tende a essere plurima recando forte pregiudizio. alla persona materiale. Un rischio che noi dobbiamo evitare, cercare di evitare. Naturalmente non è un compito facilissimo ma questo è il tema della protezione dei dati.

Oggi, assai più che vent’anni fa, non vi è attività privata o pubblica che non si fondi su tecnologie alimentate da dati personali

Quali sono gli strumenti di monitoraggio e controllo del rispetto della normativa?

Con il GDPR (General Data Protection Regulation) avremo un grande alleato che è il Titolare del trattamento che ha obblighi così severi e rischi per sé così elevati che dovrà preoccuparsi di semplificare il nostro lavoro. Tuttavia rimane in piedi un sistema di verifiche e di controlli a partire dalle segnalazioni che noi riceviamo ma che si accompagna anche al sistema delle ispezioni che programmiamo semestralmente sulla base dell’evoluzione e di diverse valutazioni. In queste attività siamo affiancati dalla Guardia di Finanza con la quale abbiamo ormai da vent’ anni una convenzione. Un ausilio molto importante che ci permette di svolgere con regolarità attività di controllo sia nel settore pubblico che in quello privato. La Guardia di Finanza ha un suo nucleo che opera secondo un programma che concordiamo, attività svolta in tutte le aree del Paese. Poi c’è una figura nuova sulla quale noi confidiamo molto per questa attività di controllo che fa parte diciamo del nuovo sistema: il responsabile della protezione dati personali che nel linguaggio anglosassone è definito Data protection officer che tutte le pubbliche amministrazioni avranno l’obbligo di nominare. Questa figura è un professionista unico nell’ ordinamento europeo. Non è figlio di una organizzazione legata a una legge o una leggina. E’ la prima volta che l’ordinamento europeo introduce una nuova figura professionale obbligata per le Pubbliche Amministrazioni e tutta una serie di imprese private. Questa importantissima figura deve essere messa nelle condizioni di progettare un proprio sistema di trattamento del dato incorporando tutte le misure necessarie, va aiutato a rinnovare, a manutenere, a rendere progressivamente sempre efficiente il sistema di protezione. Questo deve valere per tutti i Ministeri fino alla Asl dell’ultimo comune italiano. Questa nuova figura professionale dovrà essere l’interfaccia fra il titolare e l’autorità. Ormai da mesi stiamo facendo molte riunioni per tutto il Paese con l’obiettivo di aiutare Comuni e amministratori, ma lo abbiamo fatto prima in sede europea nella Working Party che è l’organismo che riunisce i vertici delle autorità nazionali e poi lo abbiamo fatto con linee guida e delle FAQ che abbiamo pubblicato sul nostro sito. Le università italiane e altri soggetti hanno promosso Master Formazione perché si calcola che 30-40.000 saranno i professionisti che in Italia si dovranno dedicare a questa nuova attività. Inoltre il sistema dei controlli diventerà nella nostra Autorità un settore più importante di quanto non lo sia già oggi. Naturalmente più si sposta sulla fase preventiva il compito dei titolari del trattamento, più a noi viene dato spazio per poter fare controlli. L’ attività di auditing sarà una di quelle su cui investiremo risorse che dovranno crescere ancora, nonostante gli sforzi fatti in questo periodo per avere un organico maggiore. Sforzi solo parzialmente soddisfatti da una recente legge. Questa Autorità è destinata a diventare molto più grande non solo per i compiti propri, già enormi. Occorrerà che le risorse umane a nostra disposizione crescano ancora, per rispettare quanto dice il Regolamento dell’Unione che prevede anche il ricorso all’infrazione per quei Paesi che non dovessero garantire risorse adeguate per le Autorità di protezione dati.

La protezione dei dati è condizione necessaria per la libertà e la democrazia

Il Gdpr richiede agli amministratori di assumersi l’onere di nuove sfide di governo. Da dove possono iniziare per vincere questa delicata sfida?

Quando uno diventa sindaco, a me mi è capitato di farlo, non si deve chiedere da dove iniziare. Deve far tutto, deve fare tutto quello che è indispensabile, deve valutare quali sono gli obblighi ai quali la legge lo chiama e deve fare in modo che la sua Amministrazione sia in grado di rispondere. Questa sfida non è diversa da quella per cui il sindaco deve anche preoccuparsi che le scuole siano agibili e che le strade abbiano i semafori. Sono tutti obblighi che fanno parte di chi assume la responsabilità di governo. Ognuno di noi quando assume un incarico pubblico deve sapere che ha nella sua disponibilità una parte importante della libertà dei cittadini e siccome nessuno di noi è stato chiamato alla responsabilità contro la propria volontà, anche il Sindaco si adeguerà e farà quello che deve fare. Consiglierei a un Sindaco di scegliere nel ruolo di Data Protection Officer una persona di grandissima competenza, il suo miglior dipendente o, se non è rintracciabile nel proprio organico, faccia una piccola spesa. Piuttosto, per i piccoli Comuni che non dispongono di grandi risorse economiche e professionali, è meglio consorziarsi con altri Comuni per avere un unico responsabile. E’ bene sempre ricordare che trattare dati per una Amministrazione vuol dire trattare persone, trattare la vita dei cittadini garantendo a essi la sicurezza delle informazioni che li riguardano. Oggi gli amministratori devono studiare la normativa e provvedere di conseguenza, senza aspettare il 25 maggio. Il Nuovo Regolamento è stato approvato un anno e mezzo fa, non è stato fatto in modo clandestino nel senso che si sa che questo è un appuntamento importante. Noi abbiamo cercato da tempo di sensibilizzare tutta la pubblica opinione e io, devo dire, non ho motivo di credere che la Pubblica Amministrazione italiana non farà il suo dovere. Lo ha fatto in tante altre circostanze. Ci sono stati momenti in cui pubblici amministratori sia nel territorio sia al centro, hanno affrontato con successo nuove sfide. Confidiamo che anche in questo caso ci sia un risultato positivo che poi non è un risultato di un giorno è un impegno che deve continuare

Questo richiede probabilmente una rivisitazione dei processi all’interno della pubblica amministrazione

Certo, ma anche ogni impresa privata dovrà rivedere la propria organizzazione. La trasformazione digitale è un processo che è in corso che è stato impostato con maggior attenzione all’efficienza, ai costi, ai ricavi e meno alla protezione dei dati. Ora non possiamo più tardare. La protezione dei dati è una emergenza perché sono tanti i flussi nella disponibilità della Pubblica Amministrazione che non è immaginabile che questi vengano mandati in un cloud insicuro, tanto per fare un esempio. Se ciò dovesse capitare l’amministratore responsabile ne risponderà.

 I dati costituiscono la proiezione digitale delle nostre persone e insieme ne manifestano la vulnerabilità…

Quali sono le differenze tra Pubblica amministrazione centrale e quella locale nei processi d’attuazione del Gdpr?

In questo caso la differenza la fa il volume dei dati. Il numero non è una variabile indipendente. Più cresce la quantità di dati più cresce la superficie di rischio, questo vale in assoluto. Per cui fra l’Agenzia delle Entrate o l’INPS, che hanno i dati di tutti gli italiani, e un piccolo Comune, la differenza è sostanziale, sempre facendo riferimento alla dimensione quantitativa. Ma è anche vero che quei 32 o 33 abitanti del più piccolo comune italiano che sta in Piemonte, non gradirebbero la violazione dei propri dati personali anche se fosse l’unica violazione che interviene, proprio perché riguarda le nostre persone. Il diritto alla protezione è di tutti. La complessità dei sistemi di protezione richiede naturalmente organizzazioni più sofisticate quando hai a che fare con milioni di persone che ti affidano i propri dati. Però l’impegno e la responsabilità devono essere gli stessi.

Sono pronte le Amministrazioni a questo cambiamento?

Certamente cresce il livello di apprensione ma anche quello di responsabilità. Devo dare atto al Presidente dell’Anci, Antonio Decaro, di aver svolto una importante attività d’informazione che continuerà nei prossimi mesi. Anche il Parlamento nell’ultimo periodo ha manifestato alcuni momenti di attenzione maggiore al tema. Ovviamente da parte nostra abbiamo avviato da tempo un serie di iniziative editoriali e divulgative per spiegare e sensibilizzare pubblico e privato.

Da più parti si sostiene che spesso le grandi imprese private hanno maggiore disponibilità di dati personali delle stesse Pubbliche Amministrazioni.

Che le grandi imprese, cosiddette over the top, abbiano nel mondo una quantità di informazioni maggiori di quelle di ogni Amministrazione è un dato di fatto. Ma queste hanno il dovere di far sapere al cittadino dove stanno i suoi dati, quale utilizzo ne viene fatto, da chi sono stati forniti e così via. L’esercizio di questo diritto è determinante. E’obbligo di legge quello di dar conto di che cosa io ho fatto delle informazioni che mi sono state affidate. Il cittadino in qualunque momento può esercitare il diritto di auto controllo, auto informativo, di recupero di quel pezzo della sua vita digitale affidato a un operatore. Naturalmente quando i dati diventano big data questo è un po’ più complicato perché gli anelli della catena sono infiniti e questa è una delle difficoltà che abbiamo.
Con i nostri dati abbiamo visto come si sono arricchite le grandi imprese dell’economia digitale. Da più parti si è avanzata l’idea che il cittadino possa vendere i propri dati, insomma partecipare in qualche modo alla ricchezza prodotta.
Mi sembra un tema molto delicato. Noi forniamo spesso dati per avere un servizio gratuito. In realtà di gratuito c’è veramente poco. Quel servizio in realtà è il corrispettivo di una attività economica che produce profitti elevatissimi. Il problema, come in tutte le cose, è la trasparenza dei processi di trasformazione digitale e di comunicazione digitale che dobbiamo promuovere. I cittadini in qualunque momento devono essere messi nelle condizioni di sapere quali sono gli effetti di quella trasformazione, cosa può accadere alla loro persona. Dopodiché se uno è consapevole di questo e decide di cedere i propri dati per avere un vantaggio esprimere un consenso, che ha un valore importante. Ma l’espressione di un consenso spesso oggi avviene attraverso firme poste su fogli illeggibili, una distorsione del sistema di informazione che sempre di più si è diffusa in questi anni. Oppure il sistema distorto delle richieste di consenso dei siti web. Ormai nessuno ci fa più caso, diamo il nostro consenso di default. E se così non facciamo ci viene impedita la navigazione. Oggi siamo concentrati sulla protezione dei nostri dati, sull’importanza della nostra identità digitale, insomma su come garantire l’unicità della nostra personalità fisica e digitale, la nostra liberta. La vendita profittevole per i singoli cittadini di parte della propria identità digitale, è però un’altra storia, ancora da scrivere e normare.

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